Juve fuga da Torino
FABIO PARATICI EX MANAGING DIRECTOR FOOTBALL AREA JUVENTUS PAVEL NEDVED ANDREA AGNELLI
Fuga da Torino per il giudizio? È quella che provano le difese, mentre i magistrati inquirenti titolari dell’indagine ritengono di avere frecce sufficientemente acuminate per trattenere il processo “in casa”. Dalle ipotetiche plusvalenze farlocche alle manovre sugli stipendi è battaglia sulla competenza territoriale dove far scendere in campo le squadre di accusa e difesa in vista del processo contro gli ex vertici della Juventus. Gli avvocati dei principali imputati, a cominciare da Andrea Agnelli e Maurizio Arrivabene, hanno presentato ricorso in Cassazione per spostare la competenza da Torino a Milano (o Roma) perché a loro avviso come nei casi giudiziari Fonsai-Ligresti, Mps e Parmalat la comunicazione al mercato tramite mail con cui – secondo la procura – è stato alterato il titolo si è concretizzata negli uffici della Consob, a Milano, dove la lettera elettronica è stata scaricata e letta riguardo alle false informazioni al mercato spedite dalla Juve.
DIFESA, CASSAZIONE E PM
Al contrario il procuratore aggiunto di Torino, Marco Gianoglio, e i sostituti Mario Bendoni e Ciro Santoriello titolari del fascicolo, ritengono che il processo si debba celebrare nel capoluogo piemontese in forza di numerosi altri pronunciamenti della Suprema Corte in base ai quali “la competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato”, fermo restando che “si considera più grave il reato per il quale è prevista la pena più elevata nel massimo ovvero, in caso di parità dei massimi, la pena più elevata nel minimo”. Questa sentenza degli ermellini è della Prima sezione presieduta da Domenico Carcano nel 2018. Ebbene nell’inchiesta torinese i reati contestati a vario titolo ai tredici imputati è di manipolazione del mercato; il falso in bilancio di società quotate con l’approvazione dei rendiconti fasulli il 24 ottobre 2019, il 15 ottobre 2020 e il 29 ottobre 2021 attraverso il valore alterato (le plusvalenze) degli scambi tra giocatori e le manovre sugli stipendi differiti per quasi 50 milioni di euro; l’ostacolo all’esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza e la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture e di documenti per operazioni inesistenti. Per la Procura piemontese va considerato che per stabilire la competenza, secondo l’insegnamento della Cassazione, “deve aversi riguardo esclusivamente alla contestazione formulata dal pubblico ministero”, di conseguenza il reato più grave contestato agli imputati della dirigenza Juve sono le dichiarazioni fraudolente con le fatture e i documenti falsi perché la pena edittale va da 4 a 8 anni. E rispetto alle false comunicazioni sociali, che prevedono anch’esse una pena massima di 8 anni, hanno tuttavia una pena minima di 4 anni, dunque superiore di 1 anno al falso in bilancio aggravato per le quotate. Va tenuto poi conto che alla Juventus Football Club è contestata la responsabilità oggettiva in base alla legge 231 del 2001 che disciplina la responsabilità amministrativa delle società per i reati contestati ai singoli dirigenti bianconeri, che avrebbero violato la legge per favorire la società aumentando il suo valore e non per agevolare soprattutto anche se stessi.
OPERAZIONI SOSPETTE
Negli atti depositati dai pm all’ufficio del giudice per le indagini preliminari per l’avvio della fase penale, trovano spazio le ventidue operazioni di mercato che hanno generato le plusvalenze sospette e che hanno indotto il collegio sindacale a prendere le distanze sposando la tesi della società di revisione Deloitte&Touche. Esso alla luce dei pareri autorevoli dei consulenti di cui “si è dotata la società” afferma che non “sono condivisibili, nei limiti in cui finiscono per dare prevalenza alla forma degli accordi siglati rispetto alla loro sostanza”. “Ugualmente – prosegue la nota sindacale – non condivisibile appare la ritenuta irrilevanza di tutti gli elementi di fatto emersi dagli atti d’indagine da cui, invece, emerge la volontà di un disallineamento tra gli accordi formalmente stipulati in tempi successivi e la sostanza di un accordo unitario”. A ciò si aggiunga che negli stessi pareri si dà atto della natura “complessa e soggettiva della lettura e interpretazione degli eventi descritti e non si esclude lo spazio per interpretazioni differenti”. Del resto la questione dell’aleatorietà del valore da attribuire ai giocatori che generano le plusvalenze è vecchia come il cucco. Tuttavia la stessa Consob analizzando il bilancio della Juve al 30 giugno 2021 osserva: “Anche se la valutazione degli asset in argomento presenta ineliminabili profili di soggettività, robuste procedure interne possono, pro-futuro, prevenire l’iscrizione in bilancio di giusti valori non adeguatamente supportati”. È il caso di quelli dei ragazzini della Primavera e dell’Under che sono stati fatti lievitare negli scambi con altri club (Barcellona, Manchester City) per abbellire il bilancio. Tra le operazioni sospette c’è anche quella Arthur-Pianjc con cui la Juve ha valutato il brasiliano 72 milioni, mentre il bosniaco 60. Se di per sé non è agevole dimostrare che i valori dei due giocatori sono stati gonfiati ad arte, come altri processi hanno dimostrato in questi anni, sul punto però i magistrati hanno l’intercettazione di uno dei due capi dell’ufficio finanziario, Marco Re – l’altro è Stefano Bertola, che come il collega è imputato-, che parlando con Roberto Turati il 16 luglio 2021 afferma: “Pensa uno come Arthur, che per farti la plusvalenza Pjanic hai valutato 72 milioni, adesso ti deve anche andare sotto i ferri, cioè, era palese no?, che non fosse uno da quella cifra lì”. Tuttavia, anche dopo che il responsabile dell’area tecnica Fabio Paratici nel 2021 aveva tolto il disturbo a causa dei disastri compiuti, tra gli altri l’incredibile caso Suarez che aveva ridicolizzato i bianconeri urbi et orbi, la pratica sarebbe proseguita. I finanzieri hanno intercettato il direttore finanza Stefano Cerrato che conversando con Bertola a proposito delle plusvalenze – visto che era l’argomento di routine tra i preoccupati manager per far quadrare i bilanci ormai fuori controllo, come l’inchiesta dimostrerebbe -, avrebbe “ammesso” che non c’erano documenti per sostenere i valori dei giocatori scambiati e messi in contabilità “strutturati e spendibili” nel caso di eventuali controlli, se non numeri scritti su “carta di formaggio”, “ma che mi guarderei bene dal produrre, no?”. Un quadro desolante, dunque, indipendentemente dalle presunte responsabilità.
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