Tutto deve cambiare affinché tutto resti com’è, in Europa: Mario Draghi, però, c’entra poco col principe di Salina. La sua, più che altro, è la considerazione di chi ha compreso che, per dirla con termini più aulici, assistiamo a un cambio di paradigma. Vero, reale. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sta sconvolgendo gli assetti del mondo, o meglio dell’Occidente, così come lo conoscevamo. E l’ex premier, che ieri mattina è stato audito al Senato sui temi della competitività europea, ne è pienamente consapevole: “La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea”. Aiuto, l’alleato è passato al nemico: “L’Ue ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza. Questi sono i valori costituenti della nostra società europea. Questi valori sono oggi posti in discussione”. A cominciare dal fatto che l’Europa sta vivendo una fase pericolosissima in termini produttivi ed economici: “La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e le altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee”. Ex malo, bonum avrebbero chiosato i latini. Poiché quello che sta accadendo costringe l’Ue a doversi ripensare fin nelle fondamenta. “L’Europa è più vulnerabile di tutti gli altri, perché noi traiamo il 50% del nostro prodotto dal commercio estero, gli Stati Uniti solo il 26%, la Cina solo il 32%. Quindi se gli altri mettono dei dazi e noi rispondiamo alla fine fondamentalmente creiamo anche un danno a noi stessi”. Ursula, che Draghi se lo è portato a Bruxelles come consulente speciale, prenda nota. E si prepari a un’era nuova. Eccolo il vero salto quantico che l’Ue deve prepararsi ad affrontare. Sconfessare due decenni di retorica quacchero-thatcheriana anti-debito e pro imprese a ogni costo, persino quello di affamare i lavoratori: “Lo squilibrio commerciale si aggrava a partire dalla crisi finanziaria nel 2008 e restringendo le regole sul credito più degli Usa. Subito dopo c’è stata la crisi del debito europeo ed il credito va a zero o addirittura verso tassi negativi e si rialzerà al 2% solo nel 2016. Negli Usa è andato giù nel 2010 ed è poi tornato al 5% di crescita dopo due anni”. Insomma, erano ricette sbagliate allora e che, oggi, lo sono ancor di più: “La seconda cosa che è successa – ha aggiunto Draghi tirando le orecchie all’imprenditoria italiana – è che abbiamo contratto i bilanci pubblici e compresso i salari anche perché noi in quegli anni pensavamo di essere in competizione con gli altri paesi europei e abbiamo tenuto i salari bassi come strumento di concorrenza. Quindi austerità e salari bassi mentre non abbiamo fatto nulla per aprire il mercato interno, soprattutto per i servizi che rappresentano il 70% del Pil”.
Ora bisogna capire se siamo ancora in tempo a rialzarci, come Italia e come Ue. Il quadro che emerge dalle parole dell’ex presidente del consiglio italiano nonché già governatore della Bce non è propriamente esaltante. Perché tale non è la situazione che vive il Vecchio Continente: “In Europa abbiamo un mercato unico per i dentifrici e non per l’intelligenza artificiale”, tuona Draghi smascherando le ipocrisie e le inefficienze del pachiderma burocratico pronto a normare su tutto tranne che su ciò di cui davvero ci sarebbe bisogno di farlo: “All’introduzione di nuove regole gli Stati membri spesso tralasciano di adeguare le normative nazionali e nei casi in cui le direttive della Commissione prevedano un’armonizzazione minima, aggiungono a esse altre prescrizioni nazionali che differiscono tra Paesi”.
Un’ultima considerazione è sul Rearm Europe. Quando uscì il suo rapporto sulla competitività, la somma di 800 miliardi per rilanciare l’Ue parve, a Bruxelles, una sorta di provocazione. Oggi, invece, quei fondi si trovano per le spese militari. Draghi, però, ritiene che la stima sia “presumibilmente solida”. Ma attenzione perché “gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit, né sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria: sarebbe non solo un errore politico – ha detto Draghi riferendosi anche all’Italia – ma soprattutto la negazione di quella solidarietà che è parte dell’identità europea, quell’identità che vogliamo proteggere difendendoci dalla minaccia dell’autocrazia”. Occorre che tutto cambi perché tutto resti così come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.