Dal Papa malato al rapimento Moro, fino alla mediazione di Trump
La potenza evocativa della foto di un Papa anziano e malato, come Francesco, ripreso di spalle nella cappella dell’ospedale Gemelli di Roma dove il Santo padre è ricoverato da oltre un mese e diffusa dal Vaticano l’altro ieri, domenica 16 marzo, e quella della foto della strage di via Fani a Roma, dove sempre in un altro 16 marzo, ma di 47 anni fa, venne rapito il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, e vennero ammazzati i cinque uomini della scorta: due carabinieri e tre poliziotti fedeli servitori dello Stato. Cinquantacinque giorni dopo il cadavere del leader della Dc fu ritrovato nel bagagliaio della ormai purtroppo famosa Renault 4 di colore rosso. Due immagini così distanti nel tempo che esprimono tuttavia una doppia fragilità. Quella dell’uomo che colpito dalla malattia, ma armato di una grande fede, affronta uno stato di salute cagionevole con grande determinazione e dignità, consapevole che per un credente la vita terrena è un passaggio; ma anche la fragilità della Repubblica nel periodo più buio quando seppe reagire alle Brigate Rosse che pensavano di potere imporre la legge del terrore politico, e che invece si trrovarono di fronte una Nazione in grado di opporsi alla barbarie comunista fino a sconfiggerla su tutta la linea. Le fragilità della persona, quand’anche è investita di un grande ruolo come quello di capo della Chiesa di Roma, e quella delle istituzioni repubblicane, allorché vennero colpite al cuore da una banda di assassini come accadde negli anni Settanta e nei primi Ottanta, manifestano appieno la duplicità individuale e collettiva in cui si rispecchiano gli individui. Se nei confronti di Papa Francesco non possiamo che provare grande apprezzamento, perché la prova che sta affrontando è uguale a quella di tanti nostri anziani che giunti alla fase conclusiva della loro parabola terrena esprimono ancora la forza vitale di una presenza consolatoria per chi vuole loro bene, nei confronti di chi immolò la propria esistenza come Aldo Moro, uno dei padri della Repubblica, nutriamo ammirazione perché le istituzioni sono fondamentali per la vita sociale quando sono interpretate da uomini di valore che hanno fatto della coerenza una scelta di vita. Francesco è l’emblema di una chiesa degli ultimi che dopo dodici anni di papato ha impresso una linea “politica” oggetto anche di aspre critiche all’interno della grande famiglia cristiana, ma che ha pure saputo rigenerare tanti entusiasmi, mentre Aldo Moro è l’esempio di un potere a dimensione umana che voleva essere annichilito da chi riteneva che la violenza potesse sostituirsi alla democrazia per imporre l’egemonia non si sa bene di chi. Queste potenti contraddizioni umane e politiche le scorgiamo anche ai nostri giorni, dove una guerra insensata, una “inutile strage”, come la definì Benedetto XV nel 1917 durante le temperie della Grande Guerra, forse potrà avere a breve una soluzione grazie a un uomo tanto discusso come Donald Trump, il quale però ha il coraggio di affrontare i problemi per quelli che sono con la decisione di porvi rimedio, ritagliando per sé un ruolo di mediatore credibile agli occhi di Putin.
La telefonata che oggi dovrebbe esserci tra i due leader potrebbe far imboccare alle trattative una svolta importante verso un cessate il fuoco che metta fine a una mattanza che dura da più di tre anni, all’insegna di una nuova divisione del mondo in sfere di influenze che potranno anche non piacerci ma che giocoforza costituiscono una realtà con cui dovremmo in qualche maniera fare i conti. Fino a quando l’Europa non batterà un colpo per dimostrare di esserci, ma non come soggetto politico capace di fare la
guerra, bensì come espressione della reale volontà dei popoli e non delle élite.
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