Immigrazione come opportunità per la cura del Bel Paese
L ’immigrazione è uno dei temi più dibattuti in Italia, spesso affrontato con un approccio emergenziale piuttosto che strutturale. Ogni anno, il nostro Paese sostiene costi significativi per l’accoglienza e la gestione dei flussi migratori, senza tuttavia sviluppare strategie efficaci per l’integrazione. È giunto il momento di pensare a soluzioni innovative, capaci di trasformare una problematica in una risorsa per il bene comune. Quanto ci costa l’immigrazione? Secondo stime ufficiali, il costo dell’accoglienza dei migranti in Italia ha raggiunto il picco di quasi 5 miliardi nelle fasi acute di crisi (come alla fine del 2017), per poi stabilizzarsi intorno ai 2 miliardi negli anni “normali”. Per capirci, ci costa circa un terzo del Reddito di Cittadinanza. A questi costi si aggiungono ulteriori problemi: molti migranti irregolari finiscono in circuiti di illegalità e sfruttamento; né gli immigrati, né i nostri territori traggono un giovamento dalla presenza di forza lavoro che rimane inespressa. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di introdurre un programma nazionale di lavori di cura del territorio destinato agli immigrati irregolari che arrivano in Italia. L’idea è semplice: concedere il permesso di soggiorno permanente solo a coloro che, per almeno due anni, contribuiscano attivamente a tenere pulito e sicuro quello che una volta si chiamava il Bel Paese e che oggi è sempre più sporco e abbandonato. L’Italia ha, infatti, un disperato bisogno di un vero e proprio “esercito di curatori” che mantengano puliti parchi, sentieri, spiagge e strade. In cambio, gli immigrati riceverebbero vitto e alloggio (che ricevono già), oltre a una formazione utile per il loro futuro inserimento nel mercato del lavoro.
Un programma del genere offrirebbe molteplici benefici. Gli immigrati non sarebbero più soggetti passivi di assistenza, ma partecipanti attivi alla vita sociale e produttiva del Paese. Affiancandosi agli operatori ecologici professionisti (il cui numero è strutturalmente inferiore alle necessità), migliorerebbero la qualità della vita dei cittadini, ingenerando apprezzamento diffuso da parte della popolazione (invece che sospetto e risentimento com’è ora). Si otterrebbe anche una riduzione dei costi dell’accoglienza e dei rimpatri. Infine, si avrebbe anche un beneficio in occupabilità, visto che gli immigrati acquisirebbero competenze utili per un inserimento più strutturato nel mondo del lavoro ed una certificazione formale da parte dello Stato, che servirebbe come referenza e garanzia di affidabilità. Esperienze simili esistono già in alcune parti d’Italia. In Trentino, ad esempio, i richiedenti asilo sono stati coinvolti in attività di pulizia urbana e manutenzione del territorio, con risultati positivi sia per i migranti che per le comunità locali. Tuttavia, questi progetti sono rimasti limitati a iniziative locali e volontarie. Un programma nazionale strutturato potrebbe amplificarne l’impatto e trasformare la gestione dell’immigrazione
in un’opportunità concreta. Il Paese che ha meglio utilizzato questo approccio è stato il Sudafrica di Nelson Mandela: proprio il simbolo della lotta al razzismo ha da subito capito che il miglior antidoto contro l’intolleranza è offrire a queste persone la possibilità di svolgere funzioni sociali utili. Chi contribuisce al benessere di un Paese viene rispettato ed amato da chi lo accoglie. E viceversa.
L’immigrazione non è un problema da subire, ma una sfida da gestire con visione e pragmatismo. Un programma di lavoro per la cura del territorio rappresenterebbe una soluzione innovativa e bilanciata: offrirebbe ai migranti un’opportunità reale di integrazione, alleggerirebbe i costi per lo Stato e migliorerebbe il decoro e l’ambiente del nostro Paese.
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