Economia

L’Ocse e i dazi di Trump che frenano la crescita di tutti

di Giovanni Vasso -

epa11895017 OECD Secretary-General Mathias Cormann (C-R) speaks next to Portuguese Minister of Labour, Solidarity and Social Security, Maria do Rosario Palma Ramalho (C-L), and Spanish Minister of Integration and Social Security, Elma Saiz Delgado (2-L), during a 'OECD Social Policy Ministerial and High-Level Policy Forum' at the OECD headquarters in Paris, France, 14 February 2025. EPA/MOHAMMED BADRA


I dazi, i dati Ocse e le prospettive del mondo in una ricetta. Per fare un’omelette, dicono in America, bisogna pur rompere qualche uovo. Donald Trump sembra proprio che si stia ispirando a questo proverbio, ammesso e non concesso che, di uova, riesca a trovarne (e possibilmente non di contrabbando…). La politica dei dazi imposta da Washington continua e, come ha tenuto a precisare l’inquilino della Casa Bianca, non subirà alcun ammorbidimento. “Il 2 aprile (quando entreranno in vigore le tariffe su acciaio e alluminio ndr) sarà un giorno di liberazione per il nostro Paese: miliardi di dollari sono già entrati nel nostro Paese e il grosso dei soldi arriverà proprio dal 2 aprile”. Trump parla alla pancia (protezionista) degli Stati Uniti. E l’Ocse, però, gli rompe le uova nel paniere. Nell’ultimo report dell’organizzazione per la cooperazione, difatti, i dazi americani (e di conseguenza i controdazi che mezzo mondo approverà come ritorsione commerciale) trascinano verso il basso le aspettative di crescita globali. Nell’Economic Outlook di marzo, gli analisti Ocse riferiscono che “l’imposizione di dazi supplementari per un ammontare di 10 punti percentuali su base permanente” potrebbe provocare “nei prossimi tre anni” la “diminuzione della crescita sottraendo 0,3 punti al Pil sul terzo anno facendo contestualmente aumentare l’inflazione su scala globale di 0,4 punti l’anno”. Sarebbero proprio gli States a subire le conseguenze più gravi: gli Usa, stando alle simulazioni Ocse, rischiano di perdere lo 0,7 percento del Pil all’anno conseguendo, contestualmente, un aumento dell’inflazione di pari valore. “La proliferazione delle barriere al commercio internazionale e frammentazione dell’economia globale potrebbe creare impatti negativi avversi supplementari considerevoli”, dicono da Parigi. Da dove arrivano (brutte) notizie un po’ per tutti. La crescita globale è destinata a cedere: +3,1% nel 2025, +3% l’anno seguente. Si tratta di stime inferiori, rispettivamente, di due e tre decimi percentuali rispetto a quelle rilasciate a dicembre scorso. Andrà male per l’Europa. Se tutto andrà bene, l’area euro crescerà di uno striminzito punto percentuale quest’anno e dell’1,2% nel 2026 perdendo lo 0,3% rispetto alle precedenti previsioni. Nello specifico, la Germania segnerà solo +0,4% quest’anno e crescerà dell’1,1% nel 2026. Un po’ meglio, ma nemmeno troppo, andrà alla Francia: +0,8% nel 2025 e +1% del 2026. Cattive notizie anche per l’Italia: se tutto andrà per il verso giusto cresceremo, nel 2025, solo dello 0,7% quest’anno e non riusciremo a raggiungere un punto intero neanche nel 2026 (+0,9%). La Spagna dovrà, invece, iniziare a moderare la sua corsa: +2,6% nel 2025 e +2,1% nel 2026. L’America di Trump, secondo gli economisti parigini, perderà 0,2 e 0,5 punti di crescita attestandosi al +2,2% quest’anno e al +1,6% nel 2026. Restando nell’area occidentale, non sorriderà nemmeno una potenza economica come il Giappone che quest’anno registrerà una crescita pari all’1,1% del Pil mentre, per il prossimo, si può attendere solo un meno entusiasmante +0,2%. In entrambi i casi, le stime riconoscono una perdita, per ciascuno dei due anni in esame, pari allo 0,4%. Un disastro. Che, sebbene più delicatamente, colpirà anche la Cina (+4,8 nel 2025 e +4,4 per il 2026, -0,1%) mentre l’India continuerà a macinare buoni risultati: +6,4% quest’anno, +6,6% per il 2026. Uno scenario non proprio entusiasmante. In cui, una chiosa, è dedicata proprio all’Italia: “Finora non è successo nulla. Ma l’Italia è un Paese che esporta tanto e quindi, se c`è più protezionismo, sarà coinvolta. È molto probabile che questo avvenga, anche se continuiamo a sperare che non sia così”, ha affermato il capo economista Ocse Alvaro Santos Pereira. Parole che, subito, sono risuonate a Roma. Dove il governo ha già dovuto incassare i dati non propriamente entusiasmanti legati all’inflazione che, a febbraio, è leggermente salita passando all’1,6% rispetto all’1,5% di gennaio. C’è, però, il solito problema del carrello della spesa la cui crescita resta superiore a quella del livello generale dei prezzi medi: +2%. E mentre i consumatori insorgono chiedendo al governo, come Federconsumatori, di imporre misure a tutela delle famiglie, il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti resta fiducioso. Perché, anche lui come va dicendo da tempo, ritiene che sia valido quel proverbio dell’anglosfera sull’omelette e le uova. “Trump fa casino, vuole mettere i dazi perché lui pensa che in questo modo difende i giusti diritti delle imprese americane, io dico che è l’occasione buona per discutere di come difendere i giusti diritti delle imprese italiane, anche delle migliaia di imprenditori che hanno dovuto chiudere per la concorrenza sleale che arrivava dalla Cina e da questi paesi”, ha spiegato nel fine settimana alla platea leghista. “Questa è l’occasione buona per andare a riscrivere le regole della competizione globale”, ha dichiarato a quella parte, nutrita, del suo partito che non nasconde il malumore rispetto alle scelte che arrivano da Oltreoceano. C’è da rompere qualche uova, se si vuol fare un’omelette. Sperando, però, che i dati Ocse sui dazi non si traducano in una profezia ferale e che non finisca tutto in una frittata.


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