La necessità di una zona franca della politica
Vorrà pur dire qualcosa il fatto che la discussa decisione della Cassazione – di riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale al ricorrente, per essere stato trattenuto a bordo della nave Diciotti, in attesa dello sbarco – contraddice l’orientamento concorde del Tribunale di Roma, della Corte d’Appello, dell’avvocatura dello Stato e del Procuratore generale. Poiché codesti organi non sono del tutto privi di sapienza giuridica, è inevitabile concludere che la materia del contendere è particolarmente opinabile e controversa. E dunque discuterne non significa affatto “delegittimare” la Magistratura; il che ovviamente vale per il comune cittadino, ma anche per il politico; anzi a maggior ragione per quest’ultimo, sul quale grava la cura degli interessi della polis. E non è in discussione la paritaria condizione del migrante rispetto al cittadino; né il dovere di soccorso in mare; né alcun’altra questione attinente alla sfera della “misericordia”, per la semplice ragione che il salvataggio era già avvenuto.
Il principale nodo interpretativo verte sulla natura amministrativa o politica degli atti sub judice. Il principio della divisione dei poteri non può funzionare, se tutti gli atti del potere esecutivo sono sottoposti al controllo giurisdizionale; sicché gli atti politici, nei quali trova espressione la “ragion di Stato”, sono sottratti al sindacato dei giudici. Fin qui, in linea di principio, nulla quaestio. I problemi insorgono quando si deve recingere l’area degli atti politici. Sul punto lo slogan del “controllo di legalità” crea solo confusione. Certamente l’attività di governo deve realizzarsi nel rispetto della legge, ma la scelta delle concrete modalità, in relazione alle circostanze storiche, deve essere libera e non sindacabile dal giudice, quando sono in gioco una finalità politica non predeterminata e la tutela di un interesse primario della res publica. E fra tutti l’ambito nel quale sono coinvolti, in misura più rilevante e con maggiore evidenza, gli interessi superiori della Repubblica e le finalità elettive, non predeterminate, dell’attività di governo, ci pare quello della politica estera. Quando la sovranità dello Stato italiano incontra la sovranità di uno Stato estero o deve essere affermato il ruolo dello Stato italiano nelle relazioni internazionali, l’autorità di governo agisce nel pieno esercizio della sua funzione politica.
L’affermazione della propria sovranità (su un determinato territorio), o la rinuncia al suo esercizio, è la scelta politica per eccellenza, giacché tocca il fondamento stesso dello Stato e il suo riconoscimento nel consesso delle nazioni. Ebbene lo sbarco dei passeggeri della nave Diciotti, all’epoca dei fatti, era oggetto di una controversia internazionale fra l’Italia e Malta, cosicché gli atti di governo emanati in quelle circostanze incidevano necessariamente sulle relazioni bilaterali e avevano evidenti riflessi in tutta l’area del Mediterraneo. Se gli interessi in ballo erano politici, come pare innegabile, non è consequenziale ritenere che fossero politici gli atti che se ne prendevano cura? La risposta negativa della Cassazione pare fondata su un’accezione molto ristretta di atto politico, alla cui stregua la qualifica non dipende dalla motivazione contingente; pertanto solo l’atto ontologicamente politico, che nasce politico nella sua previsione tipica, potrebbe sfuggire al sindacato del giudice. A nostro avviso, quest’accezione restrittiva non tiene conto del fatto che le imprevedibili circostanze storiche possono conferire notevole rilevanza politica a una decisione governativa, la quale, in altre circostanze, sarebbe di ordinaria amministrazione.
Per esempio, la decisione di Craxi, nel famoso caso di Sigonella, fu un atto di altissimo rilievo politico, ma si trattava semplicemente di un ordine dato a una squadra di Carabinieri. Dunque la ricerca dell’ontologia politica, astratta dalla motivazione politica storico-concreta, rischia di incrinare la corretta divisione dei poteri, giacché espone la politica al controllo giurisdizionale onnicomprensivo. Forse, alla categoria platonica dell’atto politico in sé, sarebbe meglio sostituire la nozione di “scelta politica”, motivata dalla necessità contingente di salvaguardare un bene primario della collettività. Non a caso Platone, padre di tutte le categorie concettuali astratte e metastoriche, è stato considerato da Popper uno dei nemici della “società aperta”.
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