Giuseppe Bove, l’architetto che ridisegnò Mosca
di PASQUALE HAMEL
Pochi, almeno nel nostro Paese, sono al corrente che il più famoso teatro di Mosca, mi riferisco al Bol’šoj porta una firma italiana. Il progetto, datato 1820, in stile neoclassico è infatti frutto del genio creativo di Giuseppe Bove, figlio di Vincenzo Bove, un pittore napoletano che si era trasferito, al seguito dell’ambasciatore napoletano alla corte imperiale russa, in cerca di fortuna a San Pietroburgo, città in grande fermento per l’impulso che alla stessa aveva dato la zarina Caterina II (La grande), dove aveva messo su famiglia sposando Ekaterina Knappe, figlia di un pittore tedesco.
Vivendo in un ambiente d’artisti e frequentando fin dalla più tenera età luoghi d’arte, lo si trovava spesso nelle sale del Museo dell’Ermitage dove il padre aveva trovato lavoro, ne fu a tal punto coinvolto e condizionato da indirizzare i suoi interessi verso l’architettura appassionandosi al neoclassico che, sull’onda palladiana, trovava entusiastica accoglienza non solo in Italia ma anche nell’impero zarista, negli Stati Uniti e in America latina.
Le qualità del giovane Bove richiamarono l’attenzione di famosi architetti che lavoravano per la casa imperiale tanto che, a soli 17 anni, venne chiamato a far parte del gruppo di “professionisti” impegnati nel restauro e nella manutenzione della cittadella fortificata del Cremlino a Mosca riscuotendo ampi apprezzamenti. La carriera di Bove, come quelle dei tanti artisti richiamati a Mosca e San Pietroburgo dalla grandeur dei Romanov, ha una battuta d’arresto con l’avventura di Napoleone Bonaparte in Russia. Bove potrebbe defilarsi ma sceglie di difendere la patria e lo fa arruolandosi nel reparto 16° Ussari di Irkutsk, sotto il comando del conte Saltykov, eroico reparto che prese parte alla celebre battaglia di Borodino nel 1812, non avendo tuttavia grandi esperienze con le armi, il suo ruolo fu quello di cornetta.
Conclusa, disastrosamente per l’armata francese, l’aggressione di Bonaparte, bisognava mettere mano a riparare i danni della guerra. Era soprattutto Mosca – tre quarti della quale era stata divorata dagli incendi attizzati, prima dell’abbandono della città dagli uomini del governatore imperiale, generale conte Fedor Rastopcin, personaggio citato in “Guerra e Pace” di Tolstoj – per la quale bisognava approntare piani di ricostruzione. Fu proprio Giuseppe Bove, dismessa la divisa, che venne chiamato ad occuparsi della parte più importante di questo immane compito. Egli fu incaricato della progettazione, del restauro e della ricostruzione del centro cittadino. Da quel momento fu impegnatissimo a ridisegnare il volto dell’antica capitale imperiale, dotandola di grandi piazze, come l’attuale Piazza Rossa, gallerie commerciali, giardini imperiali, maneggi e a gloria della potenza imperiale russa, dell’Arco di Trionfo, quest’ultimo distrutto sotto il regime stalinista e ricostruito alla fine degli anni Sessanta. Nel 1820, redige il progetto del Bol’šoj, “oggi fra i più celebri e blasonati templi del balletto classico” subentrando all’architetto Michailov.
A Bove viene inoltre affidato dalla Corte imperiale un delicato incarico: sovraintendere al decoro cittadino per impedire la realizzazione di costruzioni che potessero compromettere l’unità estetica della città. Un incarico che oltre a renderlo potente, gli consente di concepire quella città ideale che ossessionava gli architetti rinascimentali. Onorato e ricco, a Bove si schiudono le porte dorate della elitaria aristocrazia imperiale soprattutto dopo le nozze con la principessa Avdotya Trubeckoj, appartenente ad una delle famiglie più illustre della ‘noblesse’ lituana. Il suo percorso di vita, così pieno di soddisfazioni, si chiude alla soglia dei cinquant’anni, muore infatti a Mosca il 28 giugno 1834 e i suoi funerali sono onorati dalla presenza di molti membri della famiglia imperiale.
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