Caso Mollicone, parla Roberta Bruzzone: “Prove chiare, ora verità per Serena”
“Siamo tutti molto soddisfatti e rimasti particolarmente colpiti dalla decisione della Cassazione, che ha annullato la sentenza di assoluzione per la famiglia Mottola e disposto un nuovo processo. Non era facile che potesse accadere, con due assoluzioni in primo e in secondo grado. Ora attendiamo le motivazioni e sulla base di quelle imposteremo la nostra linea d’azione per l’appello bis, dove puntiamo a far emergere la colpevolezza degli imputati con una lettura non unitaria degli elementi probatori e non con la parcellizzazione e l’illogicità della lettura delle prove che è stata presa in considerazione nei primi due gradi di giudizio. Per noi non ci sono dubbi che Serena Mollicone sia stata uccisa in caserma, né che i responsabili siano gli imputati”.
Parla in esclusiva a L’Identità la criminologa Roberta Bruzzone, consulente di parte della famiglia di Serena Mollicone, la diciottenne scomparsa da Arce il primo giugno del 2001 e ritrovata cadavere due giorni dopo nel bosco dell’Anitrella. Per il delitto sono stati assolti in primo grado e in appello l’ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria. L’impianto accusatorio, basato su una lite negli alloggi di servizio a seguito della quale Serena sarebbe stata sbattuta con la testa contro una porta, non aveva retto e per questo i giudici si erano espressi per l’assoluzione. Martedì scorso, giorno in cui la Cassazione avrebbe dovuto mettere la parola fine sul cold case di Arte, però è avvenuto il colpo di scena. Gli Ermellini, accogliendo il ricorso della Procura generale della Corte d’Appello di Roma, hanno annullato la sentenza e disposto un appello bis per i Mottola, che ora torneranno alla sbarra con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Dottoressa Roberta Bruzzone, c’è ancora speranza di avere giustizia per la povera Serena. Il nodo centrale sarà riuscire a dimostrare la presenza della vittima in caserma, giusto?
Quello è un elemento fondamentale. La presenza di Serena in caserma, e il fatto che sia stata uccisa lì, è sorretto dagli elementi tecnico scientifici e dalle perizie che hanno rilevato frammenti lignei di quella porta sul capo e sul corpo della vittima. La ricostruzione e quei frammenti sono del tutto compatibili con la porta danneggiata. E non regge assolutamente la difesa del maresciallo Mottola: il danno sulla porta non può essere stato causato da un pugno che avrebbe sferrato lui, perché è perfettamente coerente con la porzione di cranio di Serena.
Un altro elemento fondamentale sul quale certamente andrà ridiscusso è la testimonianza del brigadiere Santino Tuzi, che aveva detto di aver visto Serena entrare in caserma. Quella testimonianza è stata ritenuta inattendibile nel procedimento, giusto?
Più che la testimonianza di Tuzi, che in sé non ha mai rappresentato un granché, il cuore pulsante del processo è l’intercettazione telefonica tra lui e la sua amante, avvenuta mentre il brigadiere attendeva di essere ascoltato. Quella intercettazione ci dà delle indicazioni insuperabili. Lui sa che è lì, pronto ad essere sentito a sommarie informazioni dalla Procura di Cassino, ed è molto preoccupato. Dice all’amante “mi sa che stavolta mi arrestano”, e fa riferimento a cosa è successo a una ragazza in caserma, che dal contesto si capisce essere la Mollicone. È questa è una verità incontestabile, che va sommata in maniera unitaria a tutte le risultanze del processo.
Allora perché, per ben due gradi di giudizio, i giudici hanno assolto i Mottola sulla base del fatto che non ci fossero prove?
No, le prove ci sono, tanto che gli stessi giudici scrivono che non si fidano dei Mottola ma che non ci sono elementi di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Oggi deve esserci più di qualche dubbio, se la Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e disposto un nuovo processo. Ora il nostro obiettivo è verità e giustizia per Serena Mollicone”.
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