Dazi sì, no, sicuramente
Dazi sì, dazi no, dazi sicuramente: la seconda presidenza di Donald Trump ha accelerato l’avvio del 2025 con quello – ha scritto la rivista il mulino – che nella sua più recente campagna elettorale era stato “il trailer della seconda stagione di Trump’s Tariffs”, assicurando nuova linfa mediatica (e pratica) agli effetti di misure che aveva già messo in campo nel 2018. Allora, intendeva contrastare l’importazione di acciaio e alluminio da altri Paesi. Andò come andò, la sua manovra ebbe pesanti ripercussioni interne – alla fine – partendo con quelli sull’agricoltura Usa.
Stavolta, come questo giornale ha finora ampiamente raccontato, i dazi di Donald Trump si iscrivono in una strategia più ampia e articolata, determinante strumento di pressione a partire dal proposito ribadito ogni volta, con dichiarazioni sempre più minacciose, per ricondurre alla ragione Paesi che finora avevano fatto spallucce nei confronti delle esigenze interne degli Stati Uniti, per cominciare dal Messico e dal Canada responsabili – ad avviso di Mr. President – di frontiere colabrodo nei confronti dell’immigrazione clandestina e del traffico di fentanyl.
Le prossime settimane, e ancor più gli anni nei quali la seconda presidenza del tycoon si stabilizzerà, ci diranno se queste misure e la sua strategia complessiva raggiungeranno consolidati risultati per lui soddisfacenti. Nel frattempo, la parola “dazio” con tutto ciò che vi ruota intorno è entrata a pieno titolo nel linguaggio di tutti i giorni, riportando in auge una storia che è globale ma anche italiana.
Nel Medioevo il dazio regolava lo spostamento delle merci da un territorio all’altro, storico, fino al 1700, quello sulla macellazione delle carni. Argomenti entrati anche nella poesia: nel 1930 Eugenio Montale pubblicò “La casa dei doganieri”, in cui lo “sciame dei pensieri” entra e sosta “irrequieto” e “la bussola va impazzita all’avventura”. Come il mondo alle prese con il primo anno della seconda era Trump.
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