Editoriale

La guerra nei partiti: Schlein sotto attacco e liti nel centrodestra

di Dino Giarrusso -


Elly Schlein ha vinto poco più di un anno fa le primarie per la guida del Partito Democratico, e da allora non è passato un solo giorno senza che venisse messa in discussione, criticata, attaccata, definita fragile o inadeguata. Dalla stampa avversa? Dai partiti di maggioranza? No, da una parte del suo partito (un esponente, una corrente, un accrocchietto), dagli alleati o da stampa considerata “amica”, ma in effetti amica di qualcuno che amico di Schlein non è. Se procede in armonia con i teorici alleati viene accusata d’essere filogrillina, estremista, appiattita su posizioni di chi “ha la metà dei nostri voti”. Se invece va per la sua strada rivendicando le differenza fra il PD e i compagni di cordata, ecco che l’accusano di fare il gioco della destra e di non capire come si battono Meloni & co.
Von der Leyen propone di stanziare 800 miliardi di euro non per la “difesa europea” (chimera che avrebbe bisogno di modifiche al trattato fondativo UE e di enormi e complessi cambiamenti nella gestione degli eserciti nazionali), ma per avere tutti più armi, sempre restando ciascuno generale in casa propria. Schlein, come Conte e Fratoianni, critica legittimamente questa proposta, ed ecco che si aprono le cataratte: Guerini attacca con forza, Picierno rilancia con un appello che nei fatti va contro la posizione della segretaria, e viene firmato da pezzi importanti del partito e dell’immancabile codazzo di esperti, opinionisti e giornalisti ad esso vicini, da Parsi a Ceccanti a Tocci. È solare la confusione in casa PD come è evidente il mal di mare (siamo generosi) nel fu campo largo, che dopo il “fascista!” urlato da Pedullà contro Picierno, oggi sembra nuovamente smarrito su questioni tutt’altro che secondarie, come gli attacchi da sinistra al sindaco di Milano Beppe Sala. Con questa opposizione Giorgia Meloni governerà vent’anni è frase fatta negli ambienti parlamentari – e non solo – ma se indubbiamente il compito di rimanere in sella è facilitato alla premier da chi dovrebbe disarcionarla, è altrettanto vero che nel centrodestra le acque non sono meno agitate. Salvini è appiattito su Trump, e attacca a testa bassa Zelensky, quando invece la linea di Meloni è sempre stata “con l’Ucraina fino alla fine”. Trapela insofferenza per le posizioni leghiste, secondo i rumors giudicate da FdI “identiche a quelle del PD”. Ma la proposta di von der Leyen viene bocciata con ancora maggiore decisione dalla Lega, mentre viene accolta con favore da Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Posizioni molto diverse fra alleati, e lacerazioni spaventose (meno esibite che nel PD) dentro gli stessi partiti: la faida interna a Forza Italia è nota, e viene tenuta in sordina solo dal buon momento rilevato da sondaggi ed elezioni locali. FdI dal canto suo ieri ha deciso di commissariare il partito in Sicilia, rimuovere – pare – Manlio Messina da vicecapogruppo alla Camera, e mandare nell’isola Sbardella, che prenderà il posto dei coordinatori Pogliese e Cannella. Un terremoto – locale, e gestito con la discrezione di casa in via della Scrofa – ma pur sempre un terremoto. Nella Lega sono evidenti i mal di pancia degli anti-Salvini e rimane il nodo Zaia. Per non farci mancare nulla, nel M5S pare che Grillo sia tornato ad insidiare Conte, nonostante i risultati della Costituente. Liti interne a tutti i partiti, poi liti interne alle coalizioni, poi liti fra coalizioni. Pensate per un attimo a cosa succederebbe se dovessimo avere un esercito unico europeo ed andare d’accordo con gli altri Stati membri per gestirlo in armonia.


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