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Il paradosso cinese: dal figlio unico alla crisi demografica

Il paradosso cinese: dalla politica del figlio unico alla proposta di abbassare l’età dei matrimoni per spingere i giovani a metter su famiglia. A Pechino, ormai da qualche anno, si condivide l’identico assillo che attanaglia l’Occidente. Non si fanno più figli. O, quantomeno, non se ne fanno abbastanza. Il governo cinese non sa più che pesci pigliare. Ne hanno provate di ogni. A dicembre scorso, per esempio, furono lanciati i “corsi d’amore” per spiegare ai ragazzi quanto sia bello sposarsi, prendersi la responsabilità di dare un futuro al Paese. Ma a febbraio scorso i dati non sono stati per nulla incoraggianti: Pechino ha registrato il minimo storico di matrimoni: nel 2024 ne sono stati celebrati soltanto 6,1 milioni per un calo superiore al 20% rispetto al 2023. Contestualmente però è salito il numero dei divorzi: 2,82 milioni soltanto nell’anno appena passato. La Conferenza politica consultiva del popolo cinese ha intenzione di presentare al governo una proposta finalizzata ad abbassare a 18 anni l’età minima del consenso per contrarre matrimonio. Una mossa che vorrebbe “sprigionare il potenziale riproduttivo” dei ragazzi. Ma che, secondo molti osservatori, non basterebbe. Occorrerebbe, difatti, mettere mano alle politiche restrittive, in termini di riproduzione, che la Cina si porta appresso da decenni, dai tempi in cui si imponeva ai genitori quella che sarebbe diventata una delle politiche simbolo del regime comunista: quella del figlio unico. E bisogna farlo subito. Altrimenti le cose rischiano di mettersi male. Tuttavia una buona notizia c’è: il 2024 ha fatto registrare un piccolo balzo in avanti nelle nascite: sono state 9,54 milioni rispetto ai 9,02 del 2023. Ma c’è una spiegazione: era l’Anno del Dragone, considerato di ottimo auspicio per i nascituri. E quindi i genitori cinesi si sarebbero “organizzati” per mettere al mondo i loro figli nell’anno considerato fausto dalla cultura locale.