Hot parade
Sale: Giuseppi Conte. Volevo essere un Giuseppi, Conte. Un robot, un lottatore di sumo, un leader M5s in fuga da Donaldone. “Una bestemmia dire che io sia filotrumpiano”, ha detto al Corsera l’ex pochette nata sovranista, cresciuta campolarghista e che giammai morrà (politicamente, ça va sans dire). Il suo ultimo, meraviglioso, salto mortale carpiato all’indietro (nei sondaggi) riporta alla mente, in tonalità seppia come in un film di Woody Allen, quel viaggio alla Casa Bianca, quel twitt (già, allora non era ancora X e Musk non era ancora brutto e cattivo come è oggi) quando nacque: Giuseppi. Facendo rosicare Matteo Salvini, ricordi cara?
Stabile: Daniela Santanché. Se fosse vero (il “se” è d’obbligo dato che ci stanno in mezzo querele, smentite e altre amenità da social-giornalismo), il vero scandalo sarebbe questo, altro che i processi. Andarsene in giro a regalare borsette taroccate è roba che veramente fa ridere, a donare quarti d’ora di celebrità a vu cumprà, vivi, morti, spariti, chissà, a fare omaggio di preziose interviste verità a chissà quale pezzottaro del Vesuviano. Ma fa pensare. Un Paese non finito, mai iniziato. Se fosse vero.
Scende: Steve Bannon. Rieccolo. L’uomo che ha riaggiornato il concetto di quinta colonna. Se non ci fosse, per i dem di tutto il mondo, bisognerebbe inventarlo uno scemo così. E invece, ancora parla in pubblico, ancora gli danno microfoni, ancora si sbraccia romanamente sui palchi, ancora va affermando solenni sciocchezze pretendendo d’esser preso sul serio.
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