Donald Trump ha passato il fine settimana brindando ad Apple e alla sua decisione di investire “centinaia di miliardi di dollari” negli Stati Uniti. Forse sono un po’ troppi ma il senso della vicenda è perfettamente chiaro; la decisione presa dal colosso di Cupertino, e annunciata al presidente americano nei giorni scorsi alla Casa Bianca proprio dal Ceo Tim Cook, spiega in maniera plastica come funzionino davvero i dazi americani e, soprattutto, a cosa servano. Il fatto è semplice. Apple aveva in programma di mettere su un paio di fabbriche in Messico. La produzione locale, però, sarebbe finita gravata, sul mercato interno americano, dalle tariffe doganali, portando i prezzi (ancora più) alle stelle. E, quindi, accompagnandoli fuori dal mercato. Per schivare il colpo, Cook ha deciso di prendere la via più semplice. Si torna in America. Trump, così, coglie un doppio risultato. Il primo è evidente: più occupazione, di qualità persino, per la forza lavoro Usa e può brindare alle promesse mantenute e all’impatto positivo che l’arrivo di nuove fabbriche avrà sui territori americani. Il secondo obiettivo è un po’ meno lampante ma non meno strategico: un altro gigante torna a casa, il reshoring – ossia il processo per cui le aziende che avevano delocalizzato la produzione negli anni alla ricerca di condizioni di mercato del lavoro più vantaggiose tornano in patria – prosegue senza intoppi. Ma quest’ultimo trend non se l’è imposto Trump, bensì rappresenta un risultato in perfetta coerenza con le politiche che aveva già avviato il predecessore Joe Biden con l’Inflaction Reduction Act. Richiamare tutti a casa. Per evitare di “regalare” know how a potenze in crescita e ostili (leggi Cina). Per rimettere in sesto un’economia gravata da un deficit commerciale spaventoso la cui tenuta, in termini anche sociali e politici, inizia a dar segnali inequivocabili di scricchiolamento. L’Europa, questa politica di reshoring, l’ha pagata già a carissimo prezzo. La prima mazzata, in attesa della seconda che potrebbe arrivare coi dazi, è arrivata con i dem alla Casa Bianca che hanno indotto le grandi major americane (Intel, Ford, Bose) a recedere dai nuovi progetti e a tornarsene negli States. Per colmo di paradosso, uno dei pochi a rimanere in Europa è stato il cattivissimo e perfido Elon Musk che mantiene la gigafactory Tesla (si parla presto di un modello nuovo) alle porte di Berlino. Ma, chissà, forse tra un po’ saranno anche i produttori europei a fuggirsene in America, da Trump e Apple, per scampare alle pastoie burocratiche della Ue. Chi vivrà, vedrà.