L’uomo è dismisura di tutte le cose
Si sa, i proverbi aiutano a centrare il punto in modo rapido e impersonale. “L’uomo è misura di tutte le cose” e “La mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro”. Spesso, nell’epoca dei social, ci imbattiamo in questi due concetti, magari a corredo di foto al mare o nel proprio bagno (ma questo è un altro problema, è l’assenza di gusto). E tutti li diamo per assodati, per buoni. In realtà ci sembrano due verità complementari, a patto che siano legate a doppio filo da un concetto cardine: il senso della misura. Questo è il fulcro: tutto ruota attorno al fatto che l’assenza di limiti impedisce di avere una coscienza critica. Oggi sempre di più ci imbattiamo in discorsi, posizioni, in personaggi vari, fino ai potenti del mondo, che sono la dimostrazione palese , l’incarnazione dell’ormai smarrito senso delle proporzioni. Se l’uomo è misura di tutte le cose, per esserlo coscientemente deve avere coscienza della misura, di cosa sia il limite. Questa parola non è brutta e cattiva, ma è bella e buona. Il limite è anche un confine. Tanti amano definirsi cittadini del mondo, appartenenti alla tribù umana universale, al di là di fede, razza, idee politiche, conto in banca, gusti sessuali. Tutto bellissimo, per carità. Ma la condizione necessaria e sufficiente per fare i cosmopoliti senza apparire degli scappati di casa è riconoscere i propri limiti – che poi sono i confini delle nazioni, altro che villaggio globale (ve lo ricordate?). Così come essere coscienti di chi siamo – l’identità (che coincidenza… ci chiamiamo così pure noi). Senso della misura, delle proporzioni, dello spazio occupato o acquisito in virtù di chi siamo e cosa facciamo, anche nel mondo dei social, che però si è perso quasi del tutto. Perché oggi ormai anche l’ultimo degli influencer deve sparare a zero su qualcuno, come se fosse uno dei grandi odiatori di professione, che si arricchiscono scatenando shit storm sul malcapitato di turno. La sensazione diffusa è che tanto sui social non è vera violenza, anzi, fa tendenza. Con la battuta giusta, con l’ammiccamento che fa scattare l’identificazione, il transfert, gli “spettatori” (ossia gli utenti) se la ridono. A dismisura. Salvo poi subito dopo, questi stessi odiatori, assumere i toni e indossare gli abiti del depresso, dello sfigato, della vittima: e lì tutti a piangere con loro, sguaiatamente, senza pudore. Pure in pubblico, pure in tv, senza fine. Che brutta fine.
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