Editoriale

L’eterno conflitto tra politica e giustizia che fa male al Paese

di Dino Giarrusso -


Il conflittuale e tormentato rapporto fra politica e giustizia è talmente complesso e delicato, in Italia, che da qualunque parte lo si guardi non si può non vedere le lacerazioni, gli scontri, le ferite profondissime che questa frattura ormai pluridecennale ha inferto al Paese. Non si tratta di un argomento banale, ed è tristissimo che quando si parla di giustizia v/s politica, nel 99,99% dei casi ci si trasformi in tifosi. La nostra Costituzione prevede compiti molto ben delineati, limiti decisi e democraticamente assai sensati dell’azione giudiziaria, di quella legislativa e di quella esecutiva. Non è banale ricordare che la triplice divisione dei poteri non solo garantisce la nostra democrazia, ma ne è parte integrante, dunque senza essa non ci sarebbe democrazia, o meglio non ci sarebbe la nostra democrazia costituzionale. Purtroppo però gli attori in campo, ed i politici in questo ci sembrano più accaniti dei magistrati, lavorano spessissimo per alzare ed inspessire il già robusto muro che divide le opinioni degli italiani – e delle parti in causa – riguardo questo sconfortante conflitto. Ci pare lunare, alla luce del Diritto Costituzionale, leggere a commento di una indagine riguardante esponenti politici la terrificante tiritera sui giudici che voglion sostituirsi ai politici e la chiosa “allora si candidino!”. Sarebbe come se un giudice, quando una legge viene approvata democraticamente dal Parlamento e passa il vaglio costituzionale, dicesse “i politici vogliono sostituirsi ai magistrati, allora studino e facciano il concorso”. Eppure il livello del dibattito questo è, e lo è da anni, e poche cose come questa (e come le improvvide uscite sull’eventuale legittimità di evadere il fisco) hanno fatto crollare la fiducia degli italiani nelle istituzioni. Bisogna essere chiari: i giudici devono far applicare le leggi, e se ad essere sospettato di averle infrante è un politico, è giusto che quel politico venga indagato. In Italia ci sono tutte le garanzie per qualunque imputato, e garanzie ulteriori per i parlamentari, dunque qualunque politico indagato dovrebbe dimostrare nelle sedi opportune la propria innocenza, non urlare – utilizzando qualunque media a disposizione – contro l’iniziativa giudiziaria. Il ministro Nordio è un ex-magistrato, si è candidato come avevano fatto prima di lui politici diventati poi anche molto importanti (Violante, Finocchiaro, Mantovano, Scarpinato, Carofiglio, Cafiero de Raho, e potremmo andare avanti a lungo), e dovrebbe capire benissimo da solo quanto sia sbagliato proseguire su questa strada, quanto nuoccia e crei disaffezione e sfiducia, quanto sia prezioso mantenere le prerogative costituzionali e far sì che ognuno rispetti il proprio ruolo con rigore, dignità, merito. La vicenda Almasri, le nemmeno tanto velate accuse al giudice Lo Voi di esser toga rossa quando è notoriamente un magistrato di destra (ex-militante del FdG!), la rabbia diffusa ed espressa anche dalla premier, le risposte evasive e contraddittorie fornite in parlamento, i commenti partigiani di tutti i giornali, quasi mai legati ai fatti e quasi sempre espressione della linea politica di ciascuna testata, dimostrano come ci si trovi ad uno dei punti più bassi di sempre, in questa tormentata e insensata battaglia. I giudici sono pagati per giudicare, per amministrare la giustizia, per dare un senso alla nostra democrazia. I parlamentari sono pagati per discutere e legiferare, per far progredire il paese. I membri del governo sono pagati per guidare il paese, eseguire ciò che la loro linea politica prevede, mantenere gli impegni presi con gli elettori e i cittadini tutti. Perché è così difficile rispettare, anche nel dibattito, queste semplici regole? Perché si continua a tentare di portare gli italiani nella propria curva stipata di ultrà, anziché rasserenare gli animi e lavorare di concerto affinché tutti i cittadini da domani possano realmente conoscere il sistema democratico che regola le nostre vite, aver coscienza dei propri diritti e doveri e sapere come gli stessi si inquadrano nella nostra architettura istituzionale? Perché le classi dirigenti che dominano questo paese giocano con sadico godimento ad allontanare gli italiani dalle istituzioni, a renderli sfiduciati, dubbiosi, rabbiosi, ciecamente tifosi? A chi conviene tutto ciò? Al futuro dei nostri figli certamente no, al presente di una piccola cerchia di nostri padri, probabilmente sì.


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