Sanremo, le lacrime capovolgono la tv del dolore
Carlo Conti si commuove parlando della mamma
La rappresentazione (pacata) del dolore, le lacrime: sotto le luci scintillanti del Teatro Ariston è il massimo che ci si possa aspettare da questa edizione del Festival di Sanremo quale traduzione della realtà. In attesa della prima serata, ci sono state le lacrime di Gabriele Corsi per la malattia del padre, le lacrime di Francesca Michielin per la caduta (vera) dalle scale dell’Ariston, le lacrime di Carlo Conti che si è commosso parlando della mamma, che l’ha cresciuto da sola: “Sono stato tirato su solo dalla mia mamma, perché ho perso il mio babbo che avevo solo 18 mesi. Una donna fortissima, per questo forse ho grande rispetto e stima per le donne”. Prima di salire sul palco, è già promosso figlio di tutte le mamme d’Italia, anche quelle dei delinquenti che accoltellano e uccidono con molta facilità per presentarsi intristiti e pensosi nei tribunali chiedendo clemenza. La tv del dolore che ha dominato per decenni i palinsesti di tutte le tv raccontando drammi veri e fittizi della gente comune si rigenera trasferendo la commozione sulle facce di chi regge il microfono. Poi, chissà, si passerà a far piangere cameraman e addetti alla regia.
E’ la serata di Jovanotti ospite d’onore, un sempreverde 58enne che per Google è una “personalità pubblica”, con buona pace dei politici che per guadagnarsi questa etichetta devono incassare spesso salve di pernacchie. Più di tre anni fa Rockit scriveva di lui che da indiscusso re del pop fosse passato ad essere “cantautore impegnato, sciamano, padre della patria, party harder da spiaggia” e finito a “fare il verso a Battiato, e pure un po’ a se stesso”. Ora è di nuovo qui – ecco, di nuovo il dolore – dopo il grave incidente che lo ha traumatizzato, un po’ appannato ma sempre carico di energia.
Di Noa e della sua collega palestinese che canteranno Imagine di John Lennon aspettiamo a vedere l’intera formula preparata da Carlo Conti e dalla “nuova” Rai per aspirare – tutti insieme, milioni di italiani a casa davanti alla tv e le signore “ricche” in pelliccia sedute in platea nel Teatro Ariston – a quella pace che il Medio Oriente non ha, mentre si sta sfilacciando una tregua appena sottoscritta e mai diventata reale. Una canzone – il brano del 1971 – perfino adottata dai Papaboys di Wojtyla pur invocando la fine delle religioni. Prodigio della musica, si dirà. Forse perché non molti prestano attenzione alle parole.
SU SANREMO, AVANZI HA GIA’ SCRITTO CHE….
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