La fragile tregua sempre più a rischio: le minacce di Trump, gli ostacoli di Netanyahu
La fragile tregua in Medio Oriente è appesa a un filo. Dopo l’annuncio di Hamas – l’ala militare del gruppo palestinese, le Brigate Al-Qassam – di non dare corso al sesto passaggio della liberazione degli ostaggi per le ripetute violazioni del “cessate il fuoco” contestate ad Israele, non aiutano a ristabilire la situazione le continue minacce del presidente Usa che soffia sul fuoco delle polemiche minacciando “un inferno” se si interromperà il flusso della restituzione dei prigionieri ancora in mano ad Hamas.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato su X che la ripresa della guerra a Gaza deve essere evitata “a tutti i costi” ma intanto Benjamin Netanyahu continua a mostrare i muscoli, affermando che Israele “agirà con risolutezza” per riportare indietro tutti i prigionieri e intensifica il rallentamento delle evacuazioni mediche dal valico di Rafah verso sud, rifiutando persino l’imbarco a coloro che in precedenza avevano ricevuto l’autorizzazione di sicurezza. Oggi – ha fatto sapere il ministero della Salute di Gaza – saranno evacuate per motivi sanitari solo 53 persone, un numero molto inferiore alle 150 richieste dall’accordo di “cessate il fuoco”.
“C’è un alto rischio di un crollo dell’accordo a causa di tre violazioni israeliane dell’accordo”, aveva affermato su X Mustafa Barghouti, segretario generale della Palestinian National Initiative, un partito politico palestinese che si descrive come un movimento democratico di resistenza non violenta all’occupazione israeliana.
Barghouti aveva indicato le tre violazioni principali, a partire dagli incessanti attacchi israeliani contro i palestinesi a Gaza, che hanno causato 25 morti dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, il 19 gennaio. La seconda violazione è il continuo blocco degli aiuti umanitari da parte di Israele, compreso il rifiuto di consentire l’ingresso di tende e rifugi che avrebbero dovuto raggiungere Gaza in base all’accordo. “In terzo luogo – aveva detto – Netanyahu e il presidente americano Trump hanno provocato tutti i palestinesi con le loro ripetute dichiarazioni sulle intenzioni di totale pulizia etnica della Striscia di Gaza, che hanno incontrato un ampio rifiuto e condanna a livello internazionale”.
Venerdì sera il capo dell’ufficio stampa del governo di Gaza, Salama Maarouf, aveva dichiarato che dal 19 gennaio sono entrati nell’enclave solo 8.500 camion di aiuti umanitari, molti meno dei 12mila previsti, sottolineando che l’accordo prevede l’ingresso giornaliero di 600 camion di aiuti umanitari, tra cui 50 camion di carburante, insieme a 60mila unità abitative mobili, 200mila tende, pannelli solari, generatori e attrezzature per sgomberare le macerie e ripristinare le infrastrutture di base. Invece, sono arrivate solo il 10% delle tende richieste e non è stata ammessa alcuna casa mobile. Insomma – questa la considerazione – il governo di Netanyahu starebbe deliberatamente bloccando gli aiuti e gli sforzi di ricostruzione per cacciare i palestinesi da Gaza, in linea con il piano di Trump di prendere il controllo dell’enclave e di spostarne gli abitanti.
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