Politica

Modello Albania, Meloni non arretra: “I centri funzioneranno”

di Rita Cavallaro -


Sul modello Albania, che piace tanto all’Europa, il governo Meloni non arretra. Anche a costo di ritoccare il progetto iniziale e trasformare i due hotspot italiani a Gjader e Shengjin in centri per il rimpatrio dei clandestini già colpiti da provvedimenti di espulsione. È questa la nuova ipotesi allo studio dell’Esecutivo, discussa venerdì scorso in un vertice a Palazzo Chigi tra la premier Giorgia Meloni, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. L’obiettivo, ovviamente, è superare l’impasse causato dalle toghe rosse, che per ben tre volte, negli ultimi tre mesi, non hanno convalidato i trattenimenti dei migranti che erano stati trasferiti in Albania per poter avviare l’iter delle richieste di protezione internazionale, in quello spazio extra Ue in grado di evitare, in caso di respingimento dello status di rifugiato, che i clandestini si disperdano indisturbati in Italia e siano liberi di poter far perdere le proprie tracce nel territorio europeo. Il modello del governo, inoltre, è fortemente caratterizzato dall’elemento della deterrenza, in quanto scoraggerebbe le partenze dall’Africa di fronte al rischio per gli stranieri di essere trattenuti fuori dai confini dell’Unione Europea. Le toghe rosse, in prima linea contro il governo per tentare di boicottare la riforma della giustizia, già prima dell’avvio del progetto avevano liquidato il piano, anticipando l’ondata di bocciature dei trattenimenti. L’escamotage usato dai giudici pro migranti è stato fare leva su una sentenza della Corte di Giustizia europea, che si era pronunciata a seguito del rinvio pregiudiziale proposto da un giudice della Repubblica Ceca. L’offensiva si è basata sul fatto che l’Egitto e il Bangladesh, il Paese d’origine di tutti i migranti trasferiti finora in Albania, non siano sicuri perché non tutto il territorio lo è e, in presenza di aree a rischio, l’intero Paese non può considerarsi sicuro. Tra l’altro, anche in assenza di aree a rischio, secondo i giudici un luogo potrebbe comunque non essere sicuro per un singolo migrante. Non a caso, buona parte degli ultimi aspirati richiedenti asilo si sono dichiarati gay, in modo da avanzare il rischio di persecuzioni a casa propria sulla base dell’orientamento sessuale. Insomma, un’ordinanza dalle motivazioni così incomprensibili da aver scatenato la polemica e da aver spinto il governo a inserire la lista dei Paesi sicuri in un decreto. Non è servita neppure la pronuncia della Cassazione, che ha sentenziato come spetti all’esecutivo stabilire se un Paese è sicuro o meno. E nemmeno l’aver spostato la competenza dalle sezioni Immigrazione dei Tribunali alle Corti d’Appello, visto che quegli stessi giudici sono “sbarcati” nella nuova sede. Un gran polverone, in attesa che la Corte di Giustizia europea si pronunci, il 24 febbraio, sugli atti inviati dai giudici pro migranti in merito alla non convalida. Ma la politica non intende perdere tempo, qualora i magistrati uniti sbarrino la strada al modello Albania. I centri a Gjader e Shengjin funzioneranno, ha garantito la premier Meloni. E se non sarà possibile ospitare i migranti, caricati dai pattugliatori della Marina nelle acque internazionali del Mediterraneo, in attesa delle procedure di frontiera accelerate, vuol dire che gli hotspot diventeranno, per decreto, centri per gli irregolari già presenti in Italia e su cui pende un decreto di espulsione.


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