Intervista a Yervant Gianikian: “Siamo tutti prigionieri della guerra non solo nei film”
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono due maestri dell’arte, la coppia di cineasti italiani più conosciuta all’estero. I loro film sono stati visti nei più prestigiosi musei del mondo: Reina Sofia, Jeu de Paume, Louvre, Tate Modern, Centre Pompidou, Moma, soltanto per citarne alcuni. Hanno vinto premi importantissimi: Il Leone d’Oro per Il Padiglione armeno, Biennale d’Arte di Venezia 2015, il premio FIAF. A breve con due mostre l’Italia li vedrà ancora protagonisti unici del Cinema di Avanguardia, ma non svelo qui i luoghi, per lasciare ai lettori il piacere della scoperta.
Qual è il primo ricordo della sua infanzia?
È una coperta sulle spalle, sulle gambe in una cantina di Merano durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Mi sembra di ricordare anche l’odore di umidità, e mia madre che mi teneva in braccio. Il profumo dei suoi capelli.
C’è un collegamento tra il bambino che si rifugia in cantina e il lavoro che insieme ad Angela Ricci Lucchi avete fatto per il vostro Cinema? Vi siete occupati in tanti vostri film della violenza del Secolo scorso, e nella vostra ultima Opera “Frente a Guernica” sottolineate cos’è il male e la guerra.
Certo che c’è un legame. Frente a Guernica l’abbiamo fatto proprio perché c’era e c’è la guerra in Europa, sentivo il bisogno di rispondere in qualche modo alla violenza. Il film ha preso il posto del Terzo Diario di Angela che ho rimandato ancora dopo i primi Due Diari proiettati in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia e che poi hanno fatto il giro del mondo.
La guerra evoca la morte, che cos’è per lei la morte?
Oggi la morte è diventata una questione televisiva, durante la guerra dei Balcani c’era questa pornografia sulla morte dove a qualsiasi ora ti mostravano delle immagini terribili. Distruzioni, corpi mutilati, e gli effetti della guerra. Tutto ciò ci aveva spinto nella metà degli anni Novanta a vederle con i nostri occhi: la morte e la guerra.
Soldati mutilati, interventi chirurgici di militari in alcuni vostri film… uomini sotto le bombe. Esiste una vita oltre la morte?
Torno indietro, dopo aver terminato nel 1986 Dal Polo all’Equatore che finiva con la Prima Guerra Mondiale, con la distruzione dei corpi durante i bombardamenti e con la distruzione del supporto stesso del cinema come strumento per far conoscere al mondo cosa accadeva durante i massacri. Cè una forza non quantificabile oltre la vita.
“Prigionieri della guerra” e non è soltanto il titolo di un vostro film.
Io mi sento ancora prigioniero della guerra. Siamo oggi più che mai tutti prigionieri della guerra.
Quando ha pianto l’ultima volta?
Di sicuro l’ultima volta non è stata quando ero bambino.
L’Armenia oggi, viste le sue origini armene… Suo padre Raphael Gianikian era un superstite del Genocidio armeno del 1915.
L’Armenia oggi è un luogo disperato, dove il cuore del Karabakh è stato perduto. Il luogo più profondo della cultura è stato distrutto. È un paese isolato che non riceve aiuti esterni. Soffre anche della sovrappopolazione di chi fugge dalle guerre.
Biden ha dichiarato per la prima volta che quello degli armeni è stato un Genocidio. Cosa le direbbe se potesse incontrarlo?
Amici americani mi avevano scritto di questo fatto. Gli direi “finalmente l’avete fatto. Ha avuto un grande coraggio. Non era stato fatto prima con Bush, con Obama. Gli mostrerei il finale del nostro film Uomini Anni Vita, dove gli armeni fuggono dal Karabakh da allora. E quella parte finale del film riguarda una marcia senza vedere dove il gruppo di esodati arriva. È una fuga, è una ricerca di donne, bambini e uomini di un rifugio. Ci sono due gemelli anziani che portano i corpi di bambini morti.
Ai politici quale film farebbe vedere?
Farei vedere loro Prigionieri della guerra. E poi la parte dell’operazione agli occhi di “Oh! Uomo” per spiegare attraverso i nostri film cos’è la guerra.
Qual è il filo rosso del vostro lavoro?
La violenza. Il Genocidio degli armeni. Lo sterminio senza fine del 1915 e non sufficientemente documentato. La ferocia degli esseri umani che non ha fine. Ma bisogna resistere e trasformare il male patito, così come mio padre mi ha insegnato, Raphael a tal proposito scriveva “audacia, sempre audacia.”
Che lavoro ha in cantiere?
I Diari di Angela Noi due Cineasti Capitolo Terzo.
Quant’è presente ancora Angela Ricci Lucchi nel lavoro cinematografico?
In pratica è sempre qui, che mi indica il nostro lavoro, che mi svela i suoi scritti. La sua ricerca.
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