Economia

Dazi, la Cina reagisce mentre la Ue si frantuma

di Giovanni Vasso -


La Cina fa sul serio: sui dazi c’è poco da scherzare. Pechino non ha intenzione di mostrare debolezza di fronte all’iniziativa degli Stati Uniti. Pertanto, il Dragone gioca a carte scoperte e lascia intravedere come le conseguenze dell’eventuale applicazione dei dazi possano trasformarsi in un boomerang persino per un’economia gigantesca come quella degli Usa. E mentre Xi mostra che con la Cina non c’è da scherzare, l’Europa continua a dividersi tra chi, come la Lituania, vorrebbe far pace con Trump acquistando più armi americane e chi, come la Francia, vorrebbe fronteggiare le minacce americane a muso duro. Tutto mentre la povera Ursula tenta l’ennesima, estenuante, mediazione.

Dall’Asia le notizie sono arrivate cadenzate, in una sorta di crescendo. In mattinata, ieri, è arrivata la prima: Pechino applicherà, dal 10 febbraio prossimo, tariffe pari al 15% per le importazioni di gas e carbone dagli Stati Uniti. I dazi, invece, saranno imposti nella misura del 10% sul petrolio. Inoltre l’Antitrust cinese ha annunciato l’apertura di un’inchiesta su Google. Di economico, in senso stretto, c’è poco: Mountain View è già quasi del tutto bannata dalla Cina e qui “lavora” poco. È tutto simbolico l’atto, sembra quasi che la Cina voglia dare un precedente a tutti quei governi (anche occidentali) che tentano di sanzionare Google come monopolista digitale senza riuscirci. Le novità, però, non finiscono qui. Già, perché qualche ora dopo sono arrivate le notizie “vere”. Già, perché il governo cinese ha scelto di giocare duro e di mostrare all’America che decenni di oculata e saggia politica sulle supply chain delle materie prime hanno dato i loro frutti. E così ha dichiarato la volontà di diminuire l’export delle forniture di metalli, metalloidi e terre rare alle aziende americane: tungsteno e molibdeno su tutti, insieme a tellurio, bismuto e indio. Infine, per non farsi mancare nulla, la Cina ha redatto una black list di aziende Usa che, dopo tanti sforzi, non potranno più fare affari in Asia. O, almeno, non potranno più farli usufruendo delle stesse condizioni di adesso. Nell’elenco dei “cattivi” c’è Illumina, società di biotecnologie, ma, soprattutto, il gruppo Pvh che, tra le altre cose, gestisce i brand di moda Calvin Klein e Tommy Hilfiger. Ma questa, giurano gli osservatori, è solo una dimostrazione di ciò che il Dragone potrebbe attivare, come ritorsione, in caso di dazi Usa. Insomma, la Cina fa sul serio sui dazi e, per adesso, mostra i muscoli stando bene attenta a non sbilanciarsi troppo.

Qualche segnale, però, pure è arrivato. Difatti, proprio l’altra sera, Trump ha chiesto all’Ucraina di scambiare i suoi giacimenti di terre rare in cambio degli aiuti Usa. Più che un do ut des si tratterebbe di una sorta di garanzia apposta a favore di Washington. Ma che non sarebbe ben vista dall’Europa che, dopo aver sostenuto lo sforzo bellico di Kiev (con annesse crisi energetiche, industriali ed economiche), rischierebbe di ritrovarsi con in mano un pugno di mosche alla fine della guerra con la Russia. Ciò, però, accade mentre alcuni partner Ue, come la Lituania, chiedono di investire di più in armi americane e mentre, dall’altra parte della barricata, l’ungherese Viktor Orban tira le orecchie ai “burocrati” Ue invitandoli a fare i conti con Trump e a strappare un “buon accordo”. In mezzo, praticamente, di tutto. C’è la Germania in clima elettorale. C’è la Francia in assetto da guerra, coi ministri del già traballante governo Bayrou (e sarebbe l’ennesimo esecutivo fibrillante da giugno scorso) che si dicono non disponibili a fare concessioni già prima di intavolare un negoziato. C’è l’Italia che, con il ministro Urso, ritiene necessario scongiurare “una guerra commerciale che sarebbe devastante per tutti” e pertanto crede che si debba riavviare “un dialogo transatlantico” sui temi scottanti dell’agenda politica ed economica. C’è poi la povera Ursula von der Leyen che tenta una mediazione disperata, l’ennesima, nel pollaio Ue: “Siamo pronti per negoziati difficili – ha affermato ieri all’incontro cogli ambasciatori -, laddove necessario, e per trovare soluzioni ove possibile, per risolvere qualsiasi lamentela e gettare le basi per un partenariato più forte. Saremo aperti e pragmatici riguardo al modo in cui ottenerlo”. E non a tutti i costi, almeno a parole: “Ma renderemo altrettanto chiaro che proteggeremo sempre i nostri interessi, comunque e ogni volta che è necessario. Per la Ue la prima priorità è ora lavorare sulle numerose aree in cui convergono i nostri interessi. E c’è ancora la possibilità di fare molto di più, dalle catene di approvvigionamento critiche per le tecnologie emergenti”. Roberta Metsola, presidente dell’europarlamento, ha ricordato ai Paesi membri che “presi singolarmente siamo piccoli attori ma insieme siamo una forza con cui fare i conti”. Certe volte, quando si ha paura, non c’è niente di meglio che ripetersi le cose rassicuranti, come un mantra. Per quanto vuote di significato esse siano.


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