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Dazi: la guerra di Donald Trump, le risposte di Canada, Messico e Cina

di Giorgio Brescia -

epa11706141 A sign for Wall Street outside of the New York Stock Exchange in New York, New York, USA, 06 November 2024. The Dow Jones Industrial Average as well as other market indicators were up today by as much as 3% following news of Donald J. Trump winning the US presidential election overnight. EPA/JUSTIN LANE


Dazi, parte la guerra di Donald Trump: per lui, in campagna elettorale, era già diventata la parola più bella del vocabolario. Canada, Messico e Cina per cominciare ma verranno anche per l’Unione europea e il presidente degli Stati Uniti ha in serbo anche un taglio dei fondi per il Sudafrica. Mentre la misura è una scossa per le Borse: i listini asiatici si avviano a chiudere in profondo rosso, con Tokyo che cede il 2,7%, Seul il 2,5% e Sydney l’1,8% mentre Hong Kong, Shanghai e Shenzhen, che riaprono dopo il capodanno cinese, perdono rispettivamente lo 0,6%, 0,1% e l’1,3%. A picco i future su Wall Street, dove il Nasdaq cede il 2,4% e l’S&P l’1,9%, mentre in Europa, che il presidente Usa Donald Trump promette di colpire, lo Stoxx 50 cede il 2,5% e l’euro scambia a 1,0248 sul dollaro (-1,1%), in forte rialzo su tutte le valute. La fuga dal rischio travolge le criptovalute, che bruciano quasi 600 miliardi di dollari, con il Bitcoin che cede il 3% a 94 mila dollari.

Canada, Messico non sono rimasti a guardare e provano a contrattaccare mentre la Cina ha sottolineato che questa guerra non avrà vincitori. A poche ore dalla firma di Donald Trump per il via dell’ordine esecutivo dei dazi, il premier canadese Justin Trudeau ha annunciato misure di ritorsione del 25% su beni statunitensi per un valore di oltre 100 miliardi di dollari e dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum è arrivata la promessa di una reazione proporzionata, mentre Pechino dichiarava con una nota del ministero del Commercio cinese che presenterà una causa contro gli Stati Uniti presso l’Organizzazione mondiale del commercio e prepara l’adozione di “contromisure corrispondenti”.

Trudeau è pronto a un primo giro di dazi al 25% per un valore di 30 miliardi di dollari canadesi, seguito da altre misure per un valore di 125 miliardi nell’arco di settimane attaccando i beni di uso quotidiano: birra, vino, frutta, verdura, elettrodomestici, legname, plastica e altro. E minaccia gli americani per i quali prevede la perdita di posti di lavoro, costi più elevati per cibo e benzina, potenziali chiusure di stabilimenti di assemblaggio di automobili e accesso impedito a nichel, potassio, uranio, acciaio e alluminio canadesi.

Trump, in risposta, ha insistito sul fatto che il Canada dovrebbe diventare il 51esimo Stato americano così da ottenere “tasse molto più basse, una protezione militare di gran lunga migliore per il popolo canadese e nessun dazio”. Gli Stati Uniti “pagano centinaia di miliardi di dollari per sostenere il Canada”, ha scritto il tycoon riferendosi al deficit commerciale con il suo vicino e “senza questo massiccio supporto il Canada non esisterebbe. Il vice presidente JD Vance ci ha messo il carico da cento accusando Ottawa di non spendere a sufficienza per la Nato e di non fare abbastanza per fermare il traffico di fentanyl. “Messico e Cina approfittano da decenni degli Stati Uniti. Ma ora abbiamo un presidente come Donald Trump che è pronto a prendersi cura dei cittadini americani”, ha attaccato il numero due del tycoon. Anche il Messico ha reagito alle misure americane con Sheinbaum che ha denunciato come “calunniosa” l’accusa di avere legami con i cartelli della droga.

“Respingiamo categoricamente la calunnia della Casa Bianca che accusa il nostro governo messicano di avere alleanze con organizzazioni criminali”, ha scritto la leader messicana su X parlando di prossime “misure doganali” contro Washington e accusando a sua volta i produttori di armi americani di fare affare con “questi gruppi criminali” in Messico.

Più moderata la risposta di Pechino, comunque risparmiata da Trump con dazi ridotti al 10%, che ha lasciato un aperta una finestra per il dialogo e il compromesso. Intanto il presidente americano ha, alla fine, ammesso quello che gli esperti andavano dicendo da settimane e cioè che le tariffe avranno delle conseguenze dirette sugli americani. “Ci sarà qualche sofferenza? Sì, forse (e forse no!)”, ha scritto su Truth il presidente americani. “Ma renderemo l’America di nuovo grande, e ne varrà la pena”.

L’Europa attende, Ursula von der Leyen auspica una risposta unitaria degli Stati membri senza la possibila scorciatoia di trattative singole con Washington.


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