Giustizia

Sia fatta Giustizia: la riforma che serve all’Italia

di Marina Cismondi -


Che il sistema giudiziario italiano non goda di ottima salute, per usare un eufemismo, è un dato di fatto che possono testimoniare i tanti che si sono trovati invischiati in una causa o che hanno fatto ricorso ad un tribunale per rivendicare i propri diritti.
Relativamente alle cause civili, già nel 2011 Mario Draghi affermava: “Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi in primo grado supera i mille giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale”.
Lustri dopo, secondo il “Quadro di valutazione UE Giustizia”, pubblicato lo scorso giugno, l’Italia risulta agli ultimi posti per la lunghezza nella chiusura dei contenziosi civili. La comparazione con i sistemi giudiziari dei Paesi membri, tenendo conto dei criteri di efficienza, qualità ed indipendenza, assegna all’Italia, considerando i tre gradi di giudizio, la penultima posizione, seguita solo da Cipro. La durata delle cause è di poco meno di 600 giorni per il primo grado, di quasi 800 per il secondo e di oltre mille per il terzo. Più di 6 anni per una sentenza definitiva. Ma un dato di importanza più che rilevante è la percezione di indipendenza della magistratura da parte degli italiani: solo un 35% la ritiene indipendente da influenze politiche o pressioni economiche.
I procedimenti penali non è che abbiano tempistiche più rassicuranti per gli imputati o per chi aspetta giustizia. Secondo i dati del Ministero, a fine 2023 risultavano oltre 1,2 milioni di processi pendenti, di cui circa 870 mila presso il Tribunale Ordinario.
Ed i tempi biblici non sempre sono garanzia di sentenze giuste e condanne adeguate. Dal 1991 al 31 dicembre 2022 le vittime di ingiusta detenzione sono state più di 30.000 in media quasi tre ogni giorno, festivi inclusi. Un dato spaventoso. Errori che sono costati allo Stato, quasi un miliardo di euro, tra indennizzi e risarcimenti, in media 30 milioni all’anno. Ma al di là dei costi, questi errori giudiziari hanno distrutto la vita di persone, esseri umani che hanno perso affetti, lavoro, dignità. Vale la pena di ricordare la storia di Beniamino Zuncheddu che un anno fa è stato assolto dall’accusa di triplice omicidio dopo aver passato dietro le sbarre 32 anni. Nessun risarcimento potrà restituirglieli.
E sempre un anno fa è stato assolto l’editore de La Gazzetta del Mezzogiorno e de La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per dichiararlo innocente e restituirgli i beni sequestrati ci sono voluti sei anni. La Gazzetta del Mezzogiorno, affidata ad amministratori giudiziari, venne dichiarata fallita nel 2020, i lavoratori che si ritrovarono in mezzo ad una strada sono stati un “effetto collaterale”. E non si può non citare il caso di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo senza che gli sia mai stata data la possibilità di difendersi, con un’accusa nei suoi confronti basata esclusivamente su un test del DNA che la sua difesa non ha mai potuto far sottoporre ad una verifica. Con il procedimento nei confronti della PM Letizia Ruggeri, indagata per aver fatto distruggere i campioni del DNA, archiviato.
A fronte i questo quadro sconcertante, ci si dovrebbe aspettare che tutti i partiti, maggioranza ed opposizione, sentissero come primaria la necessità di una riforma della magistratura, al di là del loro schieramento. E lo stesso ci si dovrebbe aspettare dai togati.
Assistiamo invece alle solite barricate verso la cosiddetta riforma Nordio che, nei suoi punti essenziali, non dovrebbe trovare resistenze ed opposizioni, ma solo valutazioni obiettive o critiche costruttive. Il punto di maggiore rottura è quello della separazione netta delle due carriere, già a partire dal momento della partecipazioni ai concorsi: coloro che vorranno divenire pubblici ministeri o giudici saranno magistrati con due specifiche carriere. Si vuol porre l’accusa in una posizione di parità con la difesa, con il PM appartenente ad un distinto corpo di funzionari rispetto al giudice. Garanzia di processi più equi, senza lo spadroneggiamento che tante volte si è visto concesso ai pubblici ministeri a fronte di diritti della difesa calpestati. Altro punto della riforma è la scissione del Consiglio Superiore della Magistratura, in linea con la separazione delle carriere: due magistrature – inquirente e giudicante – con due organi di autogoverno. Vi è poi la “spinosa” questione del sorteggio dei componenti del CSM, osteggiata dall’Associazione Nazionale Magistrati: il sorteggio vuol essere un deterrente all’influenza delle correnti di appartenenza, soprattutto in materia di elezioni ad incarichi direttivi.
Infine è prevista l’istituzione di una Alta Corte Disciplinare che vorrebbe porre rimedio ad una praticamente totale inefficacia dell’azione disciplinare, finora condizionata da una tutela corporativa . Cosa ci sarebbe di sbagliato nel giudicare – ed eventualmente condannare – il magistrato che ha commesso errori o frodi processuali? Tutti i partiti politici dovrebbero avere come unica preoccupazione la credibilità del potere giudiziario italiano, dato che secondo il recente sondaggio Demos pubblicato da Repubblica, il 54% degli intervistati pensa che “una parte della magistratura sia politicizzata e agisca perseguendo obiettivi politici”. Fra gli elettori del PD la percentuale scende al 21%. Il dubbio che ci sia chi preferisca continuare a tutelare le cosiddette “toghe rosse”, osteggiando ogni cambiamento, è lecito.


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