Economia

Se la Ue finisce in mezzo al Grande Gioco dei dazi

di Giovanni Vasso -

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Il Grande Gioco dei dazi è ufficialmente iniziato. Dopo aver lasciato correre, almeno per il discorso d’insediamento, Donald Trump è tornato sulla questione delle cento pistole. Il presidente degli Stati Uniti, in una conferenza stampa dedicata appunto ai rapporti commerciali tra America ed Europa, ha pronunciato parole che hanno fatto tremare porte e finestre a Bruxelles: “L’Ue per noi è molto dannosa, ci trattano molto male”. Ma, in fondo, tutto questo lo sapevamo già. A far paura è il fatto che Trump abbia paragonato l’Ue a una “piccola Cina” che “trae profitto” dagli Stati Uniti: “Abbiamo un deficit commerciale con l’Ue di 350 miliardi di dollari, la Cina è aggressiva, ma non è l’unica. Anche altri paesi sono grandi aggressori”. Quasi in contemporanea, proprio mentre Trump parlava di Ue e di dazi, è arrivata l’analisi di Christine Lagarde. La governatrice della Bce, intervistata dalla Cnbc a Davos, dove lunedì s’erano ritrovati praticamente tutti i massimi esponenti dell’Ue compresa la presidente della Commissione von der Leyen, ha affermato che “ciò che dobbiamo fare qui in Europa è essere preparati e valutare in anticipo cosa accadrà per poter rispondere”. Da parte sua, Lagarde era stata già abbastanza previdente quando, nelle scorse settimane, aveva chiesto di acquistare gas e merci Usa per tentare di convincere Trump a desistere dai suoi propositi bellicosi. E, stando a coloro che la sanno lunga, Lagarde avrebbe pronta la strategia per resistere. Ossia, quella di procedere a serrati e netti tagli ai tassi di interesse. In pratica, trovare un’arma nella correzione di un errore strategico gigantesco che ha contributo, negli anni, ad azzoppare l’economia e la produzione Ue. A spingere per una soluzione del genere, tra gli altri, c’è pure la Francia che rischia davvero grosso coi tassi alti. Lagarde, tuttavia, ha definito come “estremamente intelligente” la scelta di Trump di non applicare “dazi generalizzati” e che le tariffe saranno “selettive e mirate”. Ma se, come sembra, il tycoon dovesse applicare le tariffe sui settori individuati già in campagna elettorale, ossia la farmaceutica e l’automotive, ci sarebbe poco da stare allegri. Almeno per la Germania che già traballa. Dalla Commissione Ue s’è alzata intanto la voce del falco d’acciaio, Valdis Dombrovskis che è pronto alla pugna e promette che la risposta europea sarà “proporzionata”. Tuttavia ogni discorso è ancora in divenire. Se gli Stati Uniti hanno intenzione di applicare dazi all’Europa, di sicuro hanno già deciso come e quando imporre tariffe ai (veri) obiettivi della guerra commerciale che la Casa Bianca ha intenzione di innescare. Quelli che se la passeranno peggio saranno Canada e Messico. I cui prodotti saranno gravati da dazi fino al 25 per cento del loro valore. Quindi la questione Cina. L’ipotesi è quella che, alla frontiera americana, i prodotti provenienti dall’Asia subiscano aggravi fino al 10 per cento del loro valore. Pechino, o meglio l’ambasciata cinese a Washington, ribadisce la sua netta contrarietà. E scandisce, ancora una volta, una considerazione che suona abbastanza minacciosa quanto realistica: nessuno uscirebbe vincitore da una guerra commerciale. “Gli Stati Uniti devono rispettare i principi dell’economia di mercato e le regole del commercio internazionale”, ha detto Liu Pengyu, portavoce della missione diplomatica di Pechino negli Stati Uniti. Il Grande Gioco dei dazi, appunto.

Mentre la vicenda innervosisce le borse in tutto il mondo, in Italia le associazioni di agricoltori e le piccole e medie imprese tremano. Ci si chiede a quanto possa ammontare il mancato guadagno derivante dall’eventuale applicazione dei dazi Usa. Ma, almeno fino a questo momento, si parla poco più di speculazioni. Tanto dipenderà dalle scelte che arriveranno (anche) in sede Ue. Le posizioni di Ursula von der Leyen non sono apparse, poi, così tanto coraggiose. Ha spiegato, a Davos, che non è il caso di “rompere i legami” dell’economia globale perché “non è nell’interesse di nessuno”. Ha riesumato la retorica dei “compiti a casa” che l’Ue ha da svolgere anche se, è evidente, i ritardi europei appaiono drammaticamente incolmabili, dall’energia fino all’industria, passando per l’hi-tech. A furia di “far compiti” (e di imporne agli altri, ricordate Monti?) s’è perso tempo utile per cose più serie. Nonostante le infrastrutture politiche, l’Europa non è mai stata così divisa come lo è oggi. L’Unione dei mercati e, in particolar modo, quello dell’energia e dei capitali non c’è e, nonostante le chiacchiere, appare nei fatti davvero lontana, vedi caso Commerzbank-Unicredit. Una roba, in fondo, che fino a che non è arrivato Trump non interessava davvero a nessuno. E che sembra a dir poco inattuabile considerando che ogni Paese membro non bada ad altro che ai suoi interessi e che ogni scelta Ue va condivisa, discussa, approvata con un modello di governance a dir poco bizantino, ampolloso, burocratico in definitiva inefficace. E il dramma è sempre lo stesso: far la fine del vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro. Un destino che, per l’Europa, sembra ormai ineluttabile. Il Grande Gioco dei dazi è iniziato: per l’Ue è l’ultima chiamata.


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