Economia

Ursula sfodera il nucleare contro il petrolio di Trump

di Giovanni Vasso -


Ursula von der Leyen sfodera l’arma nucleare contro il petrolio di Donald Trump. Ma non è una questione di guerra, bensì di futuro, di tecnologie, di risorse e materie prime, di visione. La sfida tra Usa ed Europa passa anche, se non soprattutto, dall’energia. Se il presente, per Bruxelles, è nel gas che gli americani venderanno a caro prezzo all’Europa, il futuro invece si presenta ricco di progetti, iniziative, sogni. Uno su tutti: rispondere al “drill, baby, drill” tuonato da The Don al discorso di insediamento alla Casa Bianca con le “energie pulite” evocate, quasi con un sussurro, da Ursula, rimessasi dalla polmonite giusto in tempo per partecipare al summit dei ricconi del World Economic Forum a Davos. Ma quando si parla di energia pulita, si parla soprattutto di nucleare. E l’Europa, che pure non ama parlare chiaro e preferisce nascondersi dietro i soliti bizantinismi che la contraddistinguono, l’ha messo in chiaro già in tempi non sospetti. Nel suo intervento, von der Leyen s’è soffermata a lungo sul tema dell’energia: “Quando i carri armati di Putin sono entrati in Ucraina, la Russia ci ha tagliato le forniture di gas, e in cambio abbiamo ridotto sostanzialmente la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi in tempi record. Le nostre importazioni di gas dalla Russia sono diminuite di circa il 75%. E ora importiamo dalla Russia solo il 3% del nostro petrolio e niente carbone. Ma la libertà ha avuto un prezzo”. Che, chiaramente, hanno pagato le famiglie e le imprese che, ammette finalmente Ursula, “hanno visto costi energetici alle stelle e le bollette per molti devono ancora scendere”. E mentre la Bce prendeva fischi per fiaschi e correva a inasprire la politica monetaria è accaduto l’imponderabile: l’economia Ue è sprofondata e finalmente pure a Bruxelles si son convinti che “la nostra competitività dipende dal ritorno a prezzi dell’energia bassi e stabili”. Ed ecco la risposta a Trump: “L’energia pulita è la risposta a medio termine, perché è economica, crea buoni posti di lavoro in patria e rafforza la nostra indipendenza energetica. Già oggi, l’Europa genera più elettricità da vento e sole che da tutti i combustibili fossili messi insieme”. Vento e sole, però, vanno bene per strappare titoli strappalacrime ma, alla lunga, non rappresentano al momento un’alternativa valida a calmierare i prezzi dell’energia: “Non solo dobbiamo continuare a diversificare le nostre forniture energetiche ed espandere le fonti di generazione pulite da fonti rinnovabili e, in alcuni paesi, anche dal nucleare. Dovremo investire in tecnologie di energia pulita di prossima generazione, come la fusione, la geotermia potenziata e le batterie allo stato solido”. Sussurra, Ursula, dando appuntamento a febbraio quando (con la solita calma burocratica che caratterizza l’elefante di carte bollate che è l’Ue) sarà presentato un piano specifico. Ma sommessamente, per carità. Nel timore che qualcuno la senta parlare, finalmente, del nucleare ad alta voce. Cosa che, in Italia, si può fare liberamente. Per fortuna. Ieri, a margine dell’accordo a cinque sul corridoio meridionale per l’idrogeno verde, il vicepremier Antonio Tajani è tornato a ribadire la strategicità di un piano per l’energia nucleare in Italia: “Penso che il prezzo dell’energia sia cruciale per l’Italia. L’Italia è un Paese industriale, è il più importante Paese industriale dell’Unione Europea. Per questo, dobbiamo trovare soluzioni valide per rafforzare la concorrenza, la competitività delle nostre imprese. E per questo abbiamo bisogno di un mix energetico. Siamo favorevoli al nucleare, all’idrogeno e alle nuove soluzioni energetiche”. Lunedì, invece, era toccato al ministro all’Ambiente e sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ribadire che il ddl sull’energia nucleare approderà entro quindici giorni, ergo alla fine del mese di gennaio, in consiglio dei ministri. E, quindi, sarà un febbraio caldissimo per la politica italiana che si dividerà, ancora una volta, sull’opportunità di riprendere la via maestra del nucleare, accanto alle altre fonti di energia come per l’appunto l’idrogeno verde e le rinnovabili, o se rimanere a segnare il passo restando fermi ai referendum dell’87 e del 2011. Sullo sfondo incombe la grande sfida dell’energia che, adesso, per le imprese presenta un costo insopportabile, addirittura superiore a quello del lavoro in nome del quale, nei decenni passati, s’è innescata la parabola distruttiva delle delocalizzazioni. Che, come ha ammesso la stessa von der Leyen, continuano ancora oggi: “Troppi dei nostri migliori talenti stanno lasciando l’Ue perché è più facile far crescere le loro aziende altrove. E troppe aziende stanno frenando gli investimenti in Europa a causa di inutili formalità burocratiche”. Le stesse che, negli anni, hanno impedito all’Ue non solo di avere una politica energetica all’altezza del suo tessuto industriale (cosa stigmatizzata di recente anche dall’Aie) ma che hanno negato all’Europa investimenti solidi nel settore digitale. E così oggi ci si trova alle prese con un dibattito antico, senza energia, col rischio della desertificazione industriale e senza un campione globale che, in tempi di crisi furiosa dell’auto, possa dare centralità al Vecchio Continente in qualsiasi campo.


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