Torino, c’era una volta la Fiat. La storia di un declino
Da Torino alla Fiat, se i Savoia hanno lasciato un patrimonio di eccezionale bellezza, il lascito degli Agnelli è ben diverso
Nell’anno appena passato la città di Torino ha ospitato un continuo susseguirsi di eventi, dalla partenza del Giro d’Italia alle Atp Finals, dalla Final Eight Coppa Italia di basket al Torino Film Festival e di appuntamenti come il Salone del Libro, Terra Madre Salone del Gusto e la Settimana dell’Arte.
Volano per ottimi risultati per il settore del turismo che, secondo Federalberghi, ha confermato i numeri del 2023, con circa 3,6 milioni di presenze.
Turisti che, in tanti, hanno voluto esprimere i loro ringraziamenti per l’accoglienza ricevuta sul gruppo facebook dedicato alla città, Torino da Scoprire, ed hanno espresso la loro sorpresa di aver trovato una città elegante, affascinante, esaltata dalle bellissime luci natalizie, ricchissima di offerte culturali. Incantati dalla bellezza della collina, dai parchi e dai lungo Po, ne hanno lodato i ristoranti e le osterie, le pasticcerie e le cioccolaterie, trovando Torino lontanissima dall’immagine stereotipata che avevano della città, triste e grigia, solo Fiat e Juventus.
Che Torino sia la città degli splendidi palazzi barocchi e liberty, delle residenze sabaude appena fuori porta di Venaria e Stupinigi e sede del Museo Egizio, del Museo del Cinema, dei Musei Reali, del Museo Nazionale del Risorgimento, del Museo dell’Automobile, solo per citare i più famosi e visitati, è ormai un fatto conosciuto ai più. Ma se la casa Savoia ha lasciato a Torino ed in tutto il Piemonte un patrimonio di eccezionale bellezza, la successiva famiglia che da Torino ha iniziato il suo regno – e l’accumulo delle sue ricchezze – ha lasciato in eredità solo capannoni quasi del tutto abbandonati.
Torino negli anni trenta contava meno di 600 mila abitanti, ad inizio anni sessanta arrivò a superare il milione ed il record di residenti si ebbe nel 1974, con 1,2 milioni di abitanti. La Fiat aveva bisogno di manodopera ed il posto sicuro in fabbrica attirò centinaia di migliaia di italiani, soprattutto dal sud e da altre regioni, ma anche dalle campagne e montagne piemontesi.
I problemi per la città furono enormi, i torinesi più anziani ancora ricordano le baraccopoli lungo le sponde del Po, le famiglie di immigrati ospitati nelle caserme, le classi di 35 bambini stipate in negozi riadattati ed i cartelli “Non si affitta ai meridionali” appesi ai portoni. La sola Mirafiori nel 1971 aveva 60 mila addetti a cui si aggiungevano decine e decine di migliaia di impiegati nelle aziende dell’indotto, per la produzione di tutte le componenti delle auto, per le forniture delle mense, per le necessità degli uffici, per la manutenzione degli stabilimenti, per i trasporti.
Dallo stabilimento uscivano 5.000 auto al giorno, più di un milione all’anno. Torino era la città della Fiat e non c’era spazio per null’altro. Per fare un esempio, fra i tanti che si potrebbero fare, con l’Expo del 1911 nel Padiglione dedicato alla Moda si celebrò la nascita della “Sartoria Italiana” consacrando la città come capitale del settore e, nel 1950, nacque il Samia, il primo salone della moda italiana. Manifestazione di enorme successo, chiusa nel 1977.
Ora a Mirafiori si contano meno di 10 mila dipendenti, lo scorso anno le linee produttive sono state ferme 100 giorni e sono uscite 28.000 auto, quante, ai tempi d’oro, venivano prodotte in meno di sei giorni. Il ricorso alla cassa integrazione ha compiuto il suo diciottesimo anno, ci sono operai che hanno lavorato in fabbrica meno di un mese su dodici. Vivere con circa mille euro al mese vuol dire una vita di privazioni per migliaia di famiglie ed anche per il 2025 è già stato calendarizzato da Stellantis il futuro ricorso agli ammortizzatori sociali
Il lascito della famiglia Agnelli/Elkann è una città che i turisti non vedono e che anche l’attuale amministrazione Lo Russo (come peraltro le precedenti) fa fatica a vedere, fatta di disoccupazione e povertà, periferie degradate, code sempre più lunghe alla Caritas per un pasto caldo, senzatetto, negozi che abbassano le saracinesche, sfratti e pignoramenti per mutui non pagati, delinquenza.
Secondo la classifica de Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita, da poco pubblicata, la Provincia di Torino è scesa al 58° posto su 107 province, perdendo 22 posizioni in un anno. E’ addirittura al 101° posto per la sicurezza, soprattutto per il numero di rapine, furti ad attività commerciali, truffe e frodi ed all’85° posto secondo i parametri che prendono in esame la qualità dell’aria e la mobilità. D’altronde a Torino si dovevano vendere auto ai dipendenti, la metropolitana non serviva.
Le promesse di investimento su Mirafiori da parte di Fiat/Stellantis si perdono ormai nella notte dei tempi, mentre chi ha buona memoria ben ricorda i tanti favoritismi a loro elargiti dalla città di Torino (e da tutto il nostro paese) a fronte di impegni mai mantenuti. Vista la cessione nel 2019 di Magneti Marelli alla giapponese Ck Holding, che a marzo 24 ha chiuso lo stabilimento di Venaria e la cessione delle quote di maggioranza di Comau ad un fondo americano a fine 2024, il nipote dell’Avvocato sta continuando a dimostrare ingratitudine e disinteresse per le sorti dei lavoratori della città, della regione, dell’Italia.
Ce la farà la città di Torino a riconvertirsi, a creare nuove realtà imprenditoriali ed a sfruttare turisticamente al meglio la sua bellezza per decenni relegata in secondo piano? Considerato il costante calo dei residenti, che ha portato la città a scendere a 850 mila abitanti, ci si augura che la malinconica canzone di chi un tempo era costretto a cercare lavoro altrove, “Ciau Turin, mi vadu via, vad luntan a travaiè”, non torni di moda.
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