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Influencer, il mercato dei social vale 1 miliardo e mezzo: ecco come diventarlo

di Dave Hill Cirio -


Dalle foto di vacanze, gattini e selfie ad una miniera d’oro: i social sono diventati da tempo uno strumento per arricchirsi. Prima Facebook, poi Instagram si è ormai trasformato in un’opportunità lavorativa a suon di stories, reels e post pieni di #adv, #ad e #supplied. Sono seguiti il boom di TikTok, soprattutto tra i più giovani, piattaforme come Onlyfans esplosa negli ultimi anni grazie a contenuti per adulti, Patreon, un servizio in abbonamento utilizzato in particolare dai creatori di contenuti per finanziare il proprio lavoro. E in scia Ko-Fi e Buy me a coffee, nate per raccogliere fondi e guadagnarsi da vivere attraverso Internet, per non dire di Shopify che consente la vendita diretta di prodotti personalizzati.

E’ la creator economy, alimentata dalla crescente domanda di contenuti autentici e coinvolgenti da parte del pubblico: un settore economico ormai autonomo, ma le cui regole non sono ancora chiare, soprattutto in ambito fiscale.

Secondo Goldman Sachs, il fatturato globale è arrivato a 250 miliardi di dollari nel 2023 (per il solo Influencer marketing ha superato i 17 miliardi), mentre i creator attivi sono più di 300 milioni. In Italia, secondo Assoinfluencer il giro d’affari vale 1,5 miliardi con 350mila professionisti attivi. un volume di affari stimato in crescita esponenziale nei prossimi anni: secondo la stessa Goldman Sachs, potrebbe sfiorare i 500 miliardi di dollari entro il 2027. Per l’Influencer marketing hub, un influencer su dieci guadagna più di 100mila dollari all’anno (il guadagno medio è di 50mila dollari annui) e il 51% dei content creator a tempo pieno guadagna abbastanza da mantenere almeno una persona. Instagram è il social preferito: quasi la metà (48%) degli utenti globali di Instagram sono Millennials tra i 25 e i 34 anni, un gruppo demografico chiave per quel mercato.

Quickfisco, sede a Milano, è una start up innovativa che opera nel settore fiscale e contabile per supportare i titolari di partita Iva nella gestione della propria fiscalità e cerca di fare chiarezza – gestisce 3mila influencer e creator – in questo mondo in continua evoluzione, peraltro segnato da vicende giudiziarie e controversie legali che ne hanno minato non poco la credibilità, come nel caso del Pandoro-gate che ha messo nei guai l’azienda Balocco e Chiara Ferragni o nei fatti che hanno coinvolto l’imprenditore Gianluca Vacchi e lo youtuber e videomaker Luis Sal, ma anche Eleonora Bertoli e Giulia Ottorini, finiti al centro di un’indagine che ha coinvolto molti creator e ha portato a recuperare 11 milioni di euro di tasse non pagate. Oppure Mady Gio, nota influencer di Onlyfans che nonostante le sue continue ostentazioni di uno stile di vita particolarmente agiato aveva dichiarato al fisco poco più di 50mila euro di ricavi: a lei sono contestati oltre 1,5 milioni di tasse non pagate.

Secondo le stime di Buzzoole, in Italia gli influencer con almeno 1 milione di follower hanno circa il 29% di follower sospetti: questo porta i brand a privilegiare profili più “piccoli”. Nei primi 5 mesi del 2024, i micro influencer (da 10mila a 100mila followers) hanno prodotto il 63% dei contenuti sponsorizzati su Instagram, rispetto al 37% dei Top e Middle influencer (da 100mila a 1 milione followers).

A fare luce sull’attuale incertezza normativa una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Regione Piemonte relativa al caso Cristiano Ronaldo e alle imposte per lo sfruttamento del diritto d’immagine che ha chiarito che per i soggetti che operano mediante la gestione della propria immagine in maniera abituale e professionale questa attività si configura come lavoro autonomo e i relativi compensi saranno trattati come reddito di lavoro autonomo esercitato abitualmente.

Quindi, chiunque voglia svolgere un’attività di influencer in maniera abituale (creator inclusi) sui social deve aprire una partita Iva per poter operare correttamente, avendo cura al suo corretto inquadramento, da libero professionista con iscrizione alla Gestione Separata Inps oppure da ditta individuale con iscrizione in Camera di Commercio e assoggettamento alla Gestione Inps Artigiani e Commercianti ma pure alla scelta del codice Ateco più vicino alla natura delle attività svolte. Senza dimenticare l’individuazione del regime fiscale migliore, il forfettario o quello ordinario, nonché – per contenuti per adulti, la “tassa etica”, una tassa aggiuntiva pari al 25% del reddito prodotto, a prescindere dal regime fiscale adottato.

Non mancano le decisioni che producono ancor più incertezza per chi vuole lavorare con i social: il Tribunale di Roma nel 2024 – fortemente contrastato dalle associazioni di categoria – ha sentenziato che l’influencer che promuove stabilmente e con continuità in rete i prodotti di un’azienda è da configurare come agente di commercio, prevedendo quindi il versamento dei contributi alla Gestione commercianti Inps e all’ente Enasarco: l’inserimento di un codice promozionale sponsorizzato dall’influencer avrebbe fruttato un compenso ulteriore in aggiunta a quello relativo alla pubblicazione dei contenuti, rendendolo assimilabile a un agente di commercio.


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