47, Morto che scrive: dialogo immaginario sulla morte del giornalismo
“Uh che risate! Questo ha ragione: s’immagini se Ranucci fosse morto nello tsunami, quante rotture di palle ci saremmo risparmiati, noi”. “Ma cosa dice, scusi?? Augurarsi la morte di qualcuno non è bello nemmeno per scherzo, ché in ogni scherzo si cela un desiderio represso. Ma poi perché dice noi, mi perdoni, noi chi?” “Noi, noi… noi che sappiamo come si sta al mondo, noi che non vogliamo questi scocciatori fra i piedi, noi che decidiamo cosa si può dire e cosa no, cosa si deve dire e cosa no, chi è buono e chi è cattivo, chi è degno di stare al governo e chi sa fare davvero opposizione… noi”. “E in base a cosa lo decidete? E perché dovrebbe far ridere immaginare Ranucci morto?” “Perché è una finta verginella rompiscatole, uno che non si allinea, e quelli che non si allineano non ci piacciono: hai visto mai che al popolo torni la voglia di informarsi davvero, farsi un’idea propria, non accontentarsi dei luoghi comuni, dei meme, dei titoli ad effetto… ma s’immagina come sarebbe il mondo se non ci fossimo noi a dar da mangiare alla gente la minestra che vogliamo tutti mangino? Lei è un uomo di potere come me, ha capito cosa rischiamo se non fermiamo questi spargitori di merda come Ranucci?” “Per me chi fa il giornalista, se lo fa bene, non sparge merda. E se lo fa male va criticato e confutato nel merito, non per partito preso. Il potere si conquista convincendo il mondo che vali qualcosa, non togliendo di mezzo chi non ti va a genio: un potere che teme chi scrive è un potere piccolo e debole, sa?” “Lei mi fa ridere quasi quanto il collega che ha immaginato Ranucci morto nello tsunami! Forse è ricco di famiglia o pensa di essere intoccabile, o forse mi sta solo prendendo in giro” “No, sono serio. Lei fa il giornalista proprio come me, dovrebbe infuriarsi e condannare chi usa questi argomenti per attaccare chi non gli sta a genio. Se domani toccasse a lei diventare un bersaglio, leggere chi fra le righe si augura la sua morte, subire le minacce dei politici e le stroncature in malafede di prezzolati critici TV che usano il loro potere come un manganello, ha pensato a come starebbe?” “Caro collega, la favoletta del non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te andava bene per il catechismo delle elementari, faccia l’uomo. Io c’ho il mutuo, la famiglia da mandare avanti, la macchina da mantenere ed altri mille cavoletti miei: se volevo cambiare il mondo andavo a fare la rivoluzione in Congo, invece mi voglio godere la mia vita e servire chi mi paga, sto bene così” “Io pure voglio godermi la mia vita, e proprio per questo scrivo ciò che penso, non accetto di servire nessuno se non chi mi segue. Difenderò sempre qualunque giornalista che dovesse subire minacce esplicite o implicite, pressioni, soprusi e l’odio infame di un potere sempre più povero e vuoto, nudo come il Re della favoletta” “Lei è un bugiardo, parla così per farsi bello ma è corrotto dentro, vuole ritagliarsi il ruolo del buono per fatturare di più, ma questo sistema le sta benissimo, anzi lo sfrutta proprio come faccio io. Questa sua pretesa di purezza è talmente oscena e ipocrita che fa ridere… a guardarla bene lei mi sembra Totò” “Lei invece mi sembra uno dei personaggi evocati da Totò, ma con una differenza: non è un morto che parla, è un morto che scrive”.
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