Economia

Musk non balla su TikTok: la smentita e l’affare dei dati

di Giovanni Vasso -

ELON MUSK AD TESLA, DIPARTIMENTO PER L'EFFICIENZA DEL GOVERNO USA


Abbiamo scherzato: Elon Musk non metterà le mani su Tiktok. La clamorosa indiscrezione lanciata da Bloomberg e Wall Street Journal, che metteva il tycoon di nuovo nella posizione di mediatore privilegiato tra States e Cina, è stata smentita, seccamente, dalla Bbc. Che, ai portavoce di Bytedance, la società che edita il social cinese, ha chiesto un commento a quella che, nelle scorse ore, era diventata la notizia più cliccata del mondo. Ma che è stata bollata come “pura finzione” dagli stessi portavoce che, così, disinnescano sul nascere la polemica che già stava sorgendo nelle fila lib-dem. Che, orfane di Twitter (ah, i bei tempi di Jack Dorsey che chiudeva il profilo a Trump, ancora presidente in carica) e deluse dal voltafaccia di Zuckerberg (sul fact-checking e i programmi di inclusione Dei), si ritrovano oggi a puntare il dito contro la “tecnodestra” e le sue manie di egemonia digitale. Ma questa, seppur interessante, rimane una lettura superficiale di una vicenda che, in realtà, è ben più importante di così. In ballo, difatti, c’è il primato digitale del mondo. E con TikTok, per la prima volta nella storia, si è imposta all’attenzione globale una piattaforma digitale non americana. Un caso che, nel corso degli anni, ha sollevato un cortocircuito incentrato, tra le altre cose, su un argomento del quale si parla troppo poco e male: ossia quello dei dati, del loro possesso fisico, stoccaggio e utilizzo. Lo stesso argomento, per capirci, che ha indotto la Silicon Valley a schierarsi, compatta, al fianco di Trump deciso a investire miliardi di dollari in data center e a far la guerra all’Ue e ai suoi regolamenti. Questo è il tema. Chi controlla i dati, controlla tutto e si garantisce un vantaggio strategico di importanza fondamentale. È per questo, dunque, che la Cina non molla Tik Tok, attendendo fino all’ultimo giorno quale sarà la sentenza della Corte Suprema che entro il 19 gennaio potrebbe decidere del ban definitivo all’app sul mercato Usa. Dove il social dei balletti vanta poco meno di 180 milioni di utenti. Una massa gigantesca di “clienti” per un affare che non può sparire da un giorno all’altro. Perciò Trump, se non altro per motivi elettorali, aveva promesso di trovare una soluzione al più presto e, magari, indolore. Del resto, già all’epoca del suo primo mandato alla Casa Bianca, aveva tentato di coinvolgere alcuni player dell’hi-tech nell’affare, come Oracle, per fare di Tik Tok una piattaforma a stelle e strisce. Tentativi, all’epoca, naufragati per una questione che si risolverà davanti ai giudici e che arroventerà, ancora di più, il clima già caldissimo tra le due superpotenze globali Usa e Cina. Tutto il resto è colore, battaglia tra uffici stampa, scontro tra lobbisti. Come le notizie riguardanti i “rifugiati di TikTok” che per ripicca starebbero decidendo di iscriversi in massa all’impronunciabile social Xiaohongsu, altrimenti detto l’Instagram cinese. E, appunto, dell’interesse di Musk verso TikTok.


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