20071030 - HUM - ROMA - IMMIGRAZIONE: CARITAS; 3.7 MLN, PIU' 21,6% IN UN ANNO una immagine di archivio del 13 marzo 2006 mostra una fila di immigrati in fila davanti all'ufficio postale di via La Spezia a Roma. Secondo la stima del 17/o rapporto sull'immigrazione redatto dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes, presentato oggi, sono 3 milioni 700 mila gli immigrati regolari in Italia. Un numero aumentato del 21,6% - pari al 6,2% sulla popolazione complessiva (nell'Ue e' il 5,6%) - in un anno e tale da collocare l'Italia, per ritmo di crescita, al vertice europeo. ALESSANDRO DI MEO/ANSA/ KLD
Lavorare di più per guadagnare meno degli altri: il lavoro povero rimane uno dei gravi problemi che affligge l’economia italiana. A confermato è il report della Commissione Ue sull’occupazione. Dalla lettura del capitolo dedicato al nostro Paese emerge una serie di punti dolenti che, in fondo, conoscevamo già. E che restano un problema, grave. Come la situazione del reddito familiare lordo disponibile che precipita sotto ogni media comunitaria, di quasi venti punti. Stando all’analisi della Commissione, basata sui dati Eurostat, le famiglie italiane vivono “una situazione critica” che è resa plastica dai numeri. Il reddito, difatti, continua a calare e sprofonda al 94% rispetto a una media Ue che si stabilizza attorno al 111,1%. Si tratta di un divario enorme, incolmabile. Che restituisce uno dei problemi più pressanti che vive l’Italia ossia quello del cosiddetto lavoro povero, delle persone cioè che pur avendo un impiego guadagnano pochissimo, talora rischiando addirittura di stazionare pericolosamente sotto la soglia di povertà. Un rischio che riguarda soprattutto i lavoratori autonomi su cui grava, molto più alto, il pericolo dell’esclusione sociale (22,1%) rispetto ai dipendenti (9,6%). In pratica, se un dipendente su dieci è a rischio povertà, la percentuale si raddoppia per gli autonomi. Occorre, inoltre, tener presente che la Commissione Ue sottolinea come in Italia (e in Grecia) il numero di partite Iva sia superiore, in termini percentuali, a quello degli altri Paesi. Qui c’è (almeno) un 20% di autonomi contro l’8 per cento che si ritrova in Germania. Non è un tabù far notare che, spesso e volentieri, ci siano delle distorsioni nel mercato del lavoro che si basano proprio sull’imporre un lavoro da dipendenti in tutto e per tutto ma che però viene pagato come se fosse svolto da un libero professionista. Un modo per dribblare i costi di un contratto dipendente, dai contributi fino ai diritti sociali. Un’altra questione che aggrava il già pesante, e drammatico, problema del lavoro povero in un Paese che, nel frattempo, ha visto lievitare il costo della vita. Al punto che, nei giorni scorsi, è emerso dall’inchiesta Nomisma uno scenario a dir poco preoccupante: quasi il 60 per cento delle famiglie italiane ritiene inadeguato il proprio reddito in rapporto alle necessità primarie da affrontare. Dalle risultanze dell’indagine dell’osservatorio Sguardi familiari è emerso pure il 58% degli italiani trova conforto e sostegno solo nei propri familiari mentre soltanto (meno) di uno su tre (cioè il 29%) ha esperienze concrete di welfare erogato dai servizi pubblici. Numeri e dati che fanno tornare in mente le risultanze dell’ultimo rapporto Censis secondo cui, per gli italiani, il welfare pubblico è diventato sostanzialmente più un ostacolo e un problema che un’opportunità. Tornando all’inchiesta Nomisma, le cifre rivelano che il 15% delle famiglie italiane denuncia un reddito che non basta a sbarcare il lunario. La percentuale sale, attestandosi addirittura al 44%, se si prendono in considerazione quei nuclei familiari che, invece, dichiarano di riuscire ad arrivare a stento alla fine del mese coi loro guadagni. Dal momento che i guai sono come le ciliegie e uno tira l’altro, ecco spiegata la ragione del tremendo inverno demografico che si sta abbattendo sul Paese. Una famiglia su dieci, infatti, ha spiegato a Nomisma che non potrebbe far fronte alla nascita di un figlio e addirittura il 60 per cento degli italiani ritiene che siano cause esclusivamente economiche quelle alla base della natalità che affligge il Paese. Insomma, è giunta l’ora di dire le cose come stanno. E, magari, di farlo citando non un pericoloso socialista utopista ma di un banchiere e statista come Mario Draghi che nei giorni scorsi, al Simposio annuale parigino del Center for Economic Policy Research, ha rottamato il “modello imprenditoriale” che ci ha portato, in Europa e soprattutto in Italia, nel vicolo cieco: “Le politiche europee hanno tollerato una bassa crescita dei salari come strumento per aumentare la competitività esterna, aggravando la debolezza del ciclo reddito-consumo. Tutti i governi disponevano di uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna ma almeno fino alla pandemia hanno scelto deliberatamente di non utilizzare questo spazio, preferendo lo sfruttamento della domanda estera e l’esportazione di capitali con bassi livelli salariali: questa costellazione non sembra più sostenibile”. Amen.