Ottavia Piana, il perché della seconda volta nella grotta
La prima volta il 2 luglio dell’anno scorso, la seconda sabato notte: la 32enne speleologa bresciana Ottavia Piana era ritornata con i suoi compagni del Gruppo Speleo Cai di Lovere nell’Abisso Bueno Fonteno in provincia di Bergamo, una delle prima 20 grotte più ampie d’Italia.
L’anno scorso occorsero 48 ore per tirarla fuori da quei cunicoli, stavolta è un recupero più complesso, una risalita più lenta da quel posto ove è caduta sabato notte da un’altezza di almeno 5 metri, a tre chilometri dalla luce. Nelle prime ore, mentre i suoi compagni risalivano a dare l’allarme, è rimasta sola a poco meno di 600 metri di profondità, a una temperatura costante di 8 gradi con traumi al volto, al torace e alle gambe. Domenica sono arrivati i primi soccorritori, raggiungendola dopo 6 ore di marcia in quei cunicoli che con i suoi compagni stava mappando – una zona finora inesplorata – e gli operatori sanitari hanno potuto verificare le sue condizioni, riparandola in un campo base riscaldato e immobilizzandola su una barella. Da domenica, si sono finora alternati in quella grotta cento operatori del Soccorso Alpino, entrati nei cunicoli anche con microcariche di esplosivo per facilitare la risalita della speleologa che è stata immobilizzata su una barella. Ora, il percorso più lungo e più difficile, nel tratto più stretto, Un lungo tragitto, sempre impervio ma più lineare.
Inspiegabile a molti, in queste ore, il fatto che Ottavia Nava sia ritornata ove già rimase bloccata e dove forse non scenderà più. La risposta si chiama speleologia, non solo una passione ma una disciplina scientifica che punta a conoscere tutto di quell’area carsica con il Progetto Sebino.
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