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Il rapper Skianto brutalmente picchiato dalla ex, il racconto della violenza: “Pensavo di morire”

di Redazione -


Il racconto di Emiliano Lechiancole, a cura di PAOLO CONSOLI

Nella notte tra l’8 e il 9 dicembre, Emiliano Lechiancole, conosciuto come Skianto nell’ambiente musicale romano, è stato vittima di una brutale aggressione domestica. L’episodio si è verificato nell’abitazione sul litorale romano, dove Emiliano si trovava insieme alla sua ex fidanzata. I due, che avevano ripreso a frequentarsi dopo un periodo di pausa dovuto a eventi di violenza pregressa, sono stati protagonisti di una discussione che è poi degenerata in un’escalation di violenza.

Secondo il racconto del rapper, tutto sarebbe iniziato a causa di alcuni messaggi trovati sul suo cellulare che avrebbero scatenato la furia della ragazza. La situazione è rapidamente degenerata, culminando in una vera e propria aggressione fisica che ha lasciato Emiliano con ferite al volto, al collo e alla testa, oltre a evidenti segni di colluttazione. Un episodio che si è rivelato una tragedia sfiorata.

Abbiamo raccolto la testimonianza diretta di Emiliano, che ha voluto raccontare la sua esperienza per lanciare un messaggio a chiunque si trovi ad essere vittima di violenza, indipendentemente dal genere. Denunciare, parlare, e tutelarsi sono passi fondamentali per fermare questi abusi.

Un caso, quello di Emiliano, di violenza su un uomo: sebbene gli episodi di violenza contro le donne siano tristemente prevalenti, non va dimenticato che la violenza può colpire anche gli uomini, talvolta in forme più subdole, difficili da riconoscere e spesso sottovalutate. È necessario, pertanto, mantenere alta l’attenzione e superare quei pregiudizi che potrebbero scoraggiare le vittime maschili dal denunciare.

La violenza e il racconto di Emiliano: “Pensavo di morire”

“L’ho trovata con il mio telefono in mano. Quelli che leggeva erano messaggi scambiati con una ragazza che lavora con me, inerenti a fatti lavorativi, nulla di malizioso o compromettente. Improvvisamente, ha perso completamente il controllo. Ha cominciato a prendermi a calci in faccia, urlandomi contro e sputandomi addosso. Io ero immobile, fermo, con il telefono in mano, incapace di reagire. Mi afferrava per i capelli, mi sbatteva a terra, cercando angoli e spigoli dove farmi sbattere la testa. Aveva un espressione diversa, non era lei, era scavata nel volto e aveva lo sguardo nel vuoto”.

“Due giorni prima avevo visto in televisione Filippo Turetta e mi tornavano in mente le parole che aveva detto: che si era fermato solo quando, impressionato, aveva visto il volto della vittima ridotto in condizioni terribili. Quelle frasi mi risuonavano in testa, e pensavo: ‘Lei non si fermerà mai’. Io cercavo solo di difendermi, rannicchiato a terra, mentre mi colpiva con pugni, calci, schiaffi e col cellulare. Urlava cose terribili. Il tono della sua voce, così aggressivo e violento, mi paralizzava. Mi ha picchiato senza sosta per 30, forse 40 minuti. Ero in un incubo. Mi trovavo in una casa isolata, senza luci né possibilità di chiedere aiuto”. E non si è fermata. Sono stato io a scappare, correndo fuori dal cancello. Avevo digitato il 112, ma non riuscivo a chiamare, cercavo di trovare il coraggio. Ho preferito chiamare mia madre, anche se il rapporto tra le due era incrinato le ho detto: ‘Mi stava per uccidere.’

Grazie a un breve giro di telefonate sono arrivati i carabinieri che mi hanno trovato grondante di sangue in volto, mentre lei urlava cose senza senso: non era lucida, aveva bevuto molto e puzzava di alcol. I carabinieri si sono resi conto della situazione, ma lei ha provato comunque a far ricadere la colpa su di me dicendo di averla costretta a stare lì di aver alzato le mani.

Potevo morire. La mia mente tornava ai casi di cronaca nera, situazioni che pensavo lontane dalla mia realtà, e invece erano vicinissime. Sto riflettendo a lungo su cosa fare, ma il messaggio che voglio mandare raccontando questa storia è che nessuno merita di vivere nella paura, quel dolore o quella violenza. È fondamentale trovare il coraggio di parlare, di chiedere aiuto e di denunciare, anche quando sembra impossibile. Raccontare ciò che accade non è solo un atto di protezione verso se stessi, ma può anche salvare altre persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione. Nessuno è solo in questa battaglia: ci sono persone e istituzioni pronte ad ascoltare, sostenere e agire. La violenza non è mai giustificabile, e nessuno dovrebbe tollerarla o viverla in silenzio.


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