Italia e cinema: anatomia di una nuova generazione. Intervista a Jacopo Olmo Antinori
di PAOLO DE VIVO – Jacopo Olmo Antinori, lo incontriamo dopo il successo di “Arsa”, il suo ultimo film presentato alla Festa del Cinema di Roma.
Una pellicola colta e che ci dona uno spunto prezioso per riflettere su quale sia effettivamente la nuova generazione sul grande schermo e la strada che sta percorrendo il cinema italiano. Schietto, sincero, aperto, Jacopo Olmo Antinori si racconta a L’identità.
Come è stata la tua esperienza nella preparazione di “Arsa”?
Una preparazione in senso stretto non c’è stata. È successo tutto molto velocemente durante l’estate del 2023, e giusto il tempo di fare un incontro con i registi del film, e mi sono subito ritrovato a Stromboli per le riprese. La sceneggiatura, i personaggi, in un certo senso il film stesso è rimasto in un processo di preparazione perpetua lungo tutto il corso delle riprese. Il che è sicuramente impegnativo per un attore, ma quando a dirigere al monitor hai degli artisti e degli uomini come i Masbedo ti butti, per fidarti del loro istinto. Alla fine, è stata una confusione bella.
Hai esordito molto giovane: come pensi che la tua esperienza di attore sia evoluta ad oggi?
Mentirei se non dicessi che molte volte ho dovuto far fronte alla delusione, alla frustrazione, al senso di poter dare e raggiungere oltre. Lo riconosco e ringrazio per il percorso di crescita che mi obbliga a fare. A livello più strettamente professionale mi ritengo fortunato: ho fatto una carriera inusuale, eclettica e continuo ad avere la possibilità di espandere i miei orizzonti, andare un pezzo per volta più in profondità nel comprendere e nel fare. Non so fino a che punto posso arrivare; vorrei stupire me stesso e anche gli altri.
Cosa ti spinge a scegliere un ruolo?
Quando desidero un ruolo mi sforzo di cercare la soddisfazione. Vorrei poter sempre essere orgoglioso dei miei lavori.
Pensi che il cinema possa ancora influenzare le conversazioni sociali e culturali nella società contemporanea?
Io penso che lo faccia, ancora, più di quello che siamo portati a pensare. Gli ingressi nelle sale sono diminuiti, ma questa è anche l’epoca in cui si consumano più prodotti audiovisivi che in qualunque altro periodo nella storia dell’umanità. E quello che guardiamo, che ce ne rendiamo conto o no, ha un impatto. La questione sarebbe semmai chiedersi chi è che controlla da una parte la produzione e dall’altra il consumo di queste opere; se per caso non ci siano dei ‘coni d’ombra’ che non godono dello spazio di cui noi avremmo bisogno. Magari in quegli angoli si nascondono pensieri che non abbiamo ancora sognato.
C’è ancora un “dovere” culturale?
No, questo non lo penso. La cultura per me è eros in senso letterale: desiderio. Se c’è un ‘dovere’ culturale è quello del piacere nel goderne. Quello in cui dovremmo sforzarci è nell’educare a questo eros, perché non è innato, ma questo non credo possa significare una costrizione. La cultura è gioia se è possibile e non ineluttabile, se è un’opportunità invece che un compito, perché ci saranno sempre coloro che questo eros non riescono a sentirlo. E va bene così.
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