Cultura & Spettacolo

VISTO DA – Il treno dei bambini: viaggio tra memoria, riscatto e neorealismo

di Riccardo Manfredelli -


Il treno dei bambini, per la regia di Cristina Comencini e tratto dall’omonimo romanzo bestseller di Viola Ardone, è disponibile on-demand su Netflix dallo scorso 4 dicembre 2024, destinazione a cui è approdato (per rimanere agganciati alla metafora del viaggio) dopo essere stato presentato in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma.
Quasi in parallelo allo spaccato personale che la sorella Francesca ha messo in pellicola con il film Il tempo che ci vuole, con Il treno dei bambini Cristina Comencini si tuffa nella biografia dell’Italia del Dopoguerra, coesa dal punto di vista territoriale ma ancora enormemente frammentata dal punto di vista linguistico e culturale, attraverso gli occhi dei più piccoli. Quei bambini che, per iniziativa del Partito Comunista Italiano e dell’Unione delle Donne, dalle zone più degradate del Sud Italia partivano verso il Nord della Penisola (un altro viaggio verso il riscatto come quello di “Napoli-New York”, ma entro confini interni, raccontato su queste pagine non più tardi di una settimana fa) dove, affidati temporaneamente ad un’altra famiglia, potevano contare su vestiti nuovi, un tetto sulla testa, il piatto in tavola a pranzo e a cena e una degna istruzione.
Ne Il treno dei bambini, Amerigo Speranza (che si porta dietro sin dal nome il desiderio di una vita migliore) racconta la sua storia attraverso un lungo flashback, affidandola al flusso continuo dei ricordi. Colpisce la specularità del vissuto delle sue due madri: Antonietta (Serena Rossi) e Derna (Barbara Ronchi) sono donne sole, che fanno i conti ognuna con la propria nostalgia; il marito di Antonietta, e padre di Amerigo, è partito per le Americhe in cerca di fortuna prima che il bimbo nascesse; Derna non ha mai superato la morte del suo grande amore, un partigiano ucciso in pubblica piazza.
Per entrambe, al capolinea c’è una nuova consapevolezza: Antonietta capirà che «spesso ti ama di più chi ti lascia andare di chi ti trattiene». Derna farà i conti con un sentimento per lei, donna tutta dedita alla lotta di classe, nuovo e dirompente.
Quando parliamo come in questo caso di un film dalle forti tinte Neorealiste, i possibili, arbitrari (e a volte pindarici) parallelismi si sprecano. Così saremmo portati a sentir vibrare nell’Antonietta di Serena Rossi la Sophia Loren de La Ciociara o la Anna Magnani di Roma Città Aperta.
Ma la vera musa dell’attrice napoletana (dal 6 dicembre anche in Uonderbois, serie di Disney+ sulla Napoli “misterica”) è in questo caso sua nonna Titti, che da bambina sui “Treni della Felicità” ci è salita davvero: «Un giorno ho voluto portare mia nonna sul set», ha raccontato Rossi, «Poi lei si è messa in testa di ritrovare i fratelli di Modena, di cui, dopo la morte dei genitori, aveva perso i contatti. Faccio un giro di telefonate e ritrovo il fratello: organizziamo l’incontro.
Quante lacrime quel giorno…».


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