Editoriale

Sala fa l’accogliente con il Corvetto degli altri

di Adolfo Spezzaferro -


Qualcuno dica al sindaco di Milano Beppe Sala che l’accoglienza non c’entra niente con le bande di maranza che mettono a ferro e fuoco Corvetto. Anzi, semmai, le violenze di questi giorni che hanno devastato quel povero quartiere periferico sono (anche) il risultato del fallimento del modello dell’accoglienza e dell’integrazione. I gravi disordini e le scene da guerriglia urbana a seguito della morte in circostanze da chiarire dell’egiziano 19enne Ramy sono la prova provata che non è un’esagerazione paragonare Corvetto alle banlieue parigine. Anzi, semmai, ora quel quartiere purtroppo somiglia in tutto e per tutto alle periferie delle grandi città europee, dove gli immigrati di seconda e terza generazione non si sentono affatto integrati né vogliono integrarsi, odiano le “guardie”, sono tutti “Acab” e rifiutano ogni autorità. Quartieri abbandonati a se stessi, dove i (pochi) soldi si fanno spacciando o con piccoli furti e borseggi, dove non c’è lavoro, non ci sono le istituzioni, non ci sono aggregatori sociali e culturali e dove le forze dell’ordine quando intervengono, sono costrette a farlo in assetto da guerra. Abbiamo visto numerosi video su queste rivolte di quartiere, in Francia, in Belgio. Ci hanno girato tanti film-denuncia. Abbiamo pure visto che persino quando vinceva la nazionale francese, per festeggiare, questi immigrati di seconda e terza generazione irrompevano nelle strade e distruggevano tutto. Tanto che il sospetto che ogni scusa sia buona ci è venuto. Ora queste scene di roghi di cassonetti notturni e vetrine distrutte – hanno attaccato persino un bus con i passeggeri a bordo – le vediamo a Milano, Italia. Da noi i fenomeni arrivano un po’ in ritardo, ma arrivano. E arriva sempre il peggio, state tranquilli. Il peggio delle mode e delle tendenze, il peggio dei costumi sociali e anche il peggio delle violenze. Corvetto è un’emergenza nazionale perché per recuperare quel quartiere bisogna avvicinarlo all’Italia come modello di sviluppo sociale e culturale e come Paese dove lo Stato c’è, con tutte le sue istituzioni. Invece ora è una specie di enclave nordafricano, dove questi milanesi si sentono stranieri a Milano. Dove però ci vivono anche gli italiani, tenuti in ostaggio dalle bande di maranza, questi giovinastri che imitano le gang dei latinos negli Usa e vanno in giro a commettere reati e fare violenze. Ragazzi – spesso minorenni – senza punti di riferimento, neanche quelli del patriarcato di casa (loro sì che in teoria dovrebbero averlo, ché in Italia non c’è più da tempo – è rimasto solo il maschilismo) che odiano tutti e soprattutto lo Stato e chi lo rappresenta, come appunto le forze dell’ordine. Giovinastri che ascoltano tutto il giorno canzoni che inneggiano alla violenza contro la polizia. Ragazzi per cui è sicuro al 100% che Ramy è stato ucciso volontariamente dai carabinieri. Perché per loro è un’equazione: se ti inseguono (il che presuppone che dovresti aver fatto qualcosa, o no?) e muori, ti hanno ammazzato nell’inseguimento. Ma il punto non è questo: quando Sala parla di Milano città accogliente poi nei fatti non è che gli immigrati possono sistemarsi beatamente nella Ztl più ricca d’Italia, prendere casa al Bosco Verticale e fare l’apericena con la Ferragni. Insomma, Sala – mutuando una celebre espressione romanesca – fa l’accogliente con il quartiere degli altri. Ora quindi intervenga il governo centrale, la sicurezza non è né di destra né di sinistra: è un diritto di tutti i cittadini.


Torna alle notizie in home