Cronaca

Ergastolo a Turetta, per i legali non c’è premeditazione: “Soggetto fragile”

di Eleonora Ciaffoloni -


Proprio ieri, 25 novembre, ricorrenza della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il Pm di Venezia Andrea Petroni ha chiesto l’ergastolo Filippo Turetta, reo confesso di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Per lui l’accusa ha richiesto la massima pena per l’omicidio aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dallo stalking. Perché, spiega il Pm, non c’è stato solamente il femminicidio dell’11 novembre – con l’occultamento di cadavere – ma anche tutto quello che lo ha preceduto. La lista con “le cose da fare” prima di ucciderla (poi aggiornata), la scorta di benzina e di denaro per la fuga, la ricerca dei luoghi in cui nascondere il cadavere, il tentativo di cancellare le sue tracce al pc e tanto altro. Aggravanti che, tuttavia, non sono state condivise dalla difesa di Filippo Turetta che, rappresentata dagli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, ha cercato di smontare le aggravanti contestate, chiedendo per il loro assistito attenuanti generiche e una pena inferiore alla massima. La richiesta dei legali è che “le aggravanti vengano ritenute insussistenti” contestando quella premeditazione ritenuta invece dal pm un caso esemplare. Gli avvocati hanno voluto sottolineare l’insicurezza e la fragilità psicologica di Turetta: secondo Caruso, il giovane non avrebbe pianificato l’omicidio, nonostante gli elementi presentati dall’accusa, come la lista di cose da fare e gli oggetti preparati in anticipo, tra cui coltelli e scotch. Gli avvocati hanno evidenziato il tentativo di Turetta di costituirsi poco prima dell’arresto in Germania, il consenso a un processo rapido e le scuse già espresse. “Lui è timido, insicuro: compra un terzo rotolo di scotch, scrive la lista così sarebbe stato qualcosa di più difficile da cui tirarsi indietro, scrive un memoriale perché è più facile scrivere che parlare” spiega Cornaviera. Ma non finisce qui: il collega Caruso nella sua arringa ha invocato il principio di legalità, chiedendo ai giudici di emettere una sentenza basata sul diritto, non sull’emotività o sul desiderio di vendetta. “Pronunciate una sentenza secondo legalità – dice ai giudici – io sono il colibrì, voi siete il leone, non abbandonate la foresta in fiamme. Porterò una goccia di legalità nel processo”. Insomma, un’applicazione “imparziale della giustizia” per un assassino che ha premeditato per giorni la morte dell’ex compagna. La sentenza, ora, è attesa per il 3 dicembre, in un processo che, almeno ai suoi albori, poteva sembrare scorrere via velocemente. Invece ora la difesa si appella ai mostri della gogna mediatica, alla degradante pena dell’ergastolo, all’insicurezza del giovane imputato. Lo stesso imputato che ha pensato, agito e ucciso con violenza, distrutto la vita di una giovane donna. Un appello a quei mostri che ora attaccherebbero Turetta, un giovane “fragile” ma in grado di mettere fine a una vita per un “no”.

“Ergastolo”: la richiesta del pm per Filippo Turetta – L’Identità


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