Il tedoforo Zaia: la crisi della Lega. E l’altolà di FdI
Zaia il tedoforo gioca la partita della leadership con circospezione. L’antipasto l’ha servito domenica sera da Fazio a “Che tempo che fa”, quando a proposito del segretario Matteo Salvini che ha spostato il Carroccio su posizioni di destra destra, il governatore veneto declama: “Il mondo guarda alla moderazione e alle assolute novità”. Tradotto, “caro Matteo la Lega sulle posizioni di Vannacci gioverà ai consensi momentanei, ma fa perdere di vista il ceto produttivo del Nord la cui pancia è tradizionalmente moderata e dorotea”. Non a caso è stata la premier Giorgia Meloni ad annettersi le opulente zone industriali del Nordest, che attualmente sono alle prese con un rallentamento dovuto alla recessione della tradizionale locomotiva tedesca. Del resto, anche i sondaggi dell’altra sera letti da Enrico Mentana squadernano dati cristallizzati che vedono Fratelli d’Italia attorno al 30%, con Forza Italia e Lega rispettivamente attestate sull’8,9 e l’8,7%, dunque sostanzialmente alla pari. Ma con una bocca di fuoco elettorale di un terzo. Come possa quello che un tempo era il sindacato del Nord rivendicare il terzo mandato per Luca Zaia, che è sulla cadrega di presidente del Veneto dal 2010, è un mistero della politica. Al quale non credono neppure i leghisti. Oltretutto proprio ieri mattina a Verona alla presentazione del viaggio della fiamma olimpica di Milano Cortina 2026, Zaia lo scrittore, il cui nuovo libro sulla Autonomia veleggia già in classifica dei libri più venduti in questo spicchio d’Italia, se n’è uscito papale: “Farò il tedoforo magari lo farò non in carica, ma a prescindere da questo lo farò. Ho dato la mia disponibilità e penso che lo farà anche Giovanni Malagò. Magari farò un tratto veneto, mi piacerebbe da piazza San Marco, ad esempio”. Insomma, che sia in carica o meno non cambia nulla, anche se l’ipotesi di questi giorni è che a febbraio 2026 sarà ancora in carica perché le elezioni regionali dell’autunno 2025 potrebbero essere rinviate alla primavera 2026. Farebbe comodo anche al Pd alle prese con il grattacapo De Luca. A sbarrare la strada al terzo mandato a Zaia è il senatore bellunese Luca De Carlo, sindaco di Calalzo fino allo scorso giugno, segretario regionale di FdI, ascoltato dalla premier perché esprime posizioni moderate in cui si riconoscono tanti veneti. “Penso che in Veneto – afferma pacato – ci siano due fattori, uno è Luca Zaia e una è Giorgia Meloni. Allo stato attuale Zaia non è ricandidabile e c’è stata una votazione che ha visto tutto il Parlamento da una parte e solo Lega e Iv dall’altra. Ad oggi lo scenario è questo, se poi cambia sarà un’altra partita. Il Parlamento però si è già espresso in maniera chiara”. Del resto, FdI alle politiche nel settembre ’22 in Veneto ha conseguito il miglior risultato su scala nazionale, bissato alle europee di giugno con il 37,58% a fronte del 13,15% di una assai delusa Lega. Che quest’ultima possa pretendere di giocare la carta del governatore è poco credibile. Certo, Zaia con arguzia e flemma centellina da Fazio che “c’è una Lega della politica e una Lega degli amministratori, queste sono scelte che sono state fatte (si riferisce allo spostamento a destra destra del partito da parte di Salvini, ndr) e sono anche convinto che dovremmo rivedere molte scelte”. Molto chiaro lo Zaia pensiero, al quale si aggiunge la dichiarazione di Mario Conte, sindaco di Treviso e delfino del Doge Serenissimo: “Noi siamo pronti a correre anche da soli. Quindi non c’è proprio margine, Luca Zaia è il nostro candidato”. Anche se gli analisti politici, intenzioni di voto alla mano, annunciano che in caso in cui il centrodestra corresse da solo servirebbe al centrosinistra la palla giusta sopra la rete per la schiacciata decisiva. Si arriverà davvero fino a questo? Per adesso, ovvio, sono solo schermaglie dialettali, anche perché lo stesso Zaia ripete sornione che “pensare di avere un presidente che per 10 mesi parla di politica anche no. Dopo di che i partiti parlano. Io un mese prima delle elezioni deciderò cosa fare”. Nessuno gli crede, perché i giochi della politica saranno fatti ben prima, sebbene il governatore aspirante tedoforo (almeno questo posto non gli verrà sottratto) stia studiando uno scenario alternativo che dovrebbe passare per Roma, una volta che la leadership di Salvini fosse ancora più consunta a causa di un estremismo in cui la maggior parte degli amministratori del Nordest non si riconosce più da tempo. Così come gli elettori che hanno accolto a braccia aperte Giorgia l’underdog, la svantaggiata vincente.
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