GRAVI INDIZI DI REATO – Il mostro di Foligno: il male dietro la normalità
Il Mostro di Foligno è il nome che la cronaca ha assegnato nel tempo a Luigi Chiatti, protagonista di uno dei casi di cronaca nera più inquietanti dell’Italia degli anni ’90. Nato come Luigi Rossi, viene adottato in tenera età dalla famiglia Chiatti e cresce in un ambiente apparentemente normale nella tranquilla cittadina di Foligno, in Umbria. Ma sotto l’apparenza si cela una personalità tormentata, segnata da profondi disturbi psicologici e pulsioni omicide che sfociano in crimini efferati.
Il 4 ottobre 1992, scompare Simone Allegretti, un bambino di 4 anni. Viene ritrovato morto il giorno successivo in una località isolata nei pressi di Foligno. L’autopsia rivela che il piccolo è stato ucciso brutalmente e il suo corpo presenta diversi segni di violenza. La comunità è sconvolta: l’Umbria, fino ad allora associata alla quiete e alla serenità dei paesaggi, diventa il teatro di un incubo.
Un anno dopo, il 7 agosto 1993, Chiatti colpisce ancora. Lorenzo Paolucci, 13 anni, scompare mentre è in bicicletta. Anche in questo caso, il corpo viene ritrovato poco dopo in una zona boschiva.
È lo stesso Chiatti a indirizzare i carabinieri con una lettera anonima in cui confessa il delitto e lascia indizi precisi sul luogo del ritrovamento. L’orribile dettaglio che emerge dalle indagini è che il killer prova un piacere disturbante nel controllare il destino delle sue vittime, spingendo la comunità in un vortice di paura e sgomento.
La svolta arriva finalmente quel 7 agosto 1993, quando gli investigatori trovano prove schiaccianti: nell’abitazione di Chiatti vengono rinvenuti oggetti appartenenti alle vittime e un diario in cui lui stesso annota le sue riflessioni sul desiderio di uccidere.
Durante gli interrogatori confessa i delitti con una freddezza agghiacciante, autodefinendosi “il Mostro di Foligno”.
Il processo si conclude nel 1996 con la condanna all’ergastolo, poi ridotta a 30 anni di reclusione per il riconoscimento del suo disturbo mentale. Viene internato in una struttura psichiatrica giudiziaria, dove vive tuttora. Il caso lascia un segno indelebile nella memoria collettiva italiana, non solo per la brutalità degli atti, ma anche per il terrore che instilla l’idea di un male così spietato nascosto in un contesto apparentemente tranquillo.
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