Esteri

Putin: “Con i missili contro di noi la guerra è diventata mondiale, non escludiamo di colpire chi li ha forniti a Kiev”

di Ernesto Ferrante -


Siamo a un passo dall’escalation, a poca distanza dal baratro di un conflitto mondiale. Parlando alla nazione, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che il suo Paese è “pronto a qualsiasi scenario” nel conflitto con l’Ucraina e i suoi alleati occidentali. “Siamo sempre stati pronti, e lo siamo ancora, a risolvere tutti i problemi con mezzi pacifici, ma siamo anche pronti ad affrontare qualsiasi sviluppo – ha affermato nel discorso trasmesso dalla televisione russa – Se qualcuno ancora dubita di questo, è inutile. Ci sarà sempre una risposta”.

Poi il passaggio più terrificante, che dovrebbe far riflettere chi sta alzando ogni giorno di più il tiro: “Con i missili contro di noi la guerra è diventata mondiale, non escludiamo di colpire chi li ha forniti a Kiev”.

Si è conclusa a tinte fosche una giornata iniziata tra il grigiore del fumo e i bagliori delle esplosioni a Dnipropetrovsk, dove un missile a medio raggio russo ha centrato lo Yuzhmash, un impianto per la produzione di missili e vettori spaziali. Il lancio è avvenuto dalla regione di Astrakhan.

Dopo il pericoloso via libera di Joe Biden, la guerra tra Ucraina e Russia si potrebbe trasformare in un duello di lanci di missili a lungo raggio. Kiev ha iniziato ad utilizzare gli Atacms americani e gli Storm Shadow anglo-francesi, Mosca ha risposto con vettore nuovo.

Putin ha definito un successo il test dell’ultimo missile a medio raggio “Oreshnik”. A suo avviso, questa è stata una risposta ai piani degli Stati Uniti di produrre e schierare missili a medio e corto raggio. “La Russia risponderà in modo deciso e speculare all’escalation. La Russia si considera autorizzata a usare le armi contro le strutture di quei Paesi che consentono che le sue armi siano usate contro le strutture russe”, ha avvertito il leader russo.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato Putin di usare l’Ucraina come terreno di prova per le armi.

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha incolpato Washington di voler fare in modo “che le operazioni militari continuino non solo quest’anno, ma anche il prossimo” e il Pentagono di “essersi affrettato a cercare di trasferire ciò che rimane degli aiuti militari al regime di Kiev prima dell’insediamento del presidente” Trump. Sibillino un riferimento della portavoce alla base di difesa missilistica americana in Polonia, definita un “potenziale obiettivo da distruggere da parte delle forze russe, da tempo”.

Amnesty International ha condannato la decisione degli Stati Uniti di inviare mine antiuomo all’Ucraina, definendola “irresponsabile” e “un passo indietro” nella lotta contro l’utilizzo di questo tipo di armi. “È devastante e francamente shoccante che il presidente Biden abbia preso una decisione così piena di conseguenze e pericolosa poco prima che la sua eredità politica venga consegnata ai libri di storia”, si legge in una dichiarazione del portavoce Ben Linden, che chiede al presidente americano di rivedere la sua scelta.

“Le mine antiuomo sono un tipo di arma per costituzione indiscriminata che può menomare o uccidere civili per molto tempo dopo il conflitto e non dovrebbero essere negli arsenali di nessun Paese. Anche le mine ‘non persistenti’ sono una minaccia per i civili”, ha continuato Linden.

Si torna a parlare di biolaboratori. Il nuovo direttore dell’intelligence nazionale americana, la trumpiana Tulsi Gabbard, ha affermato che l’amministrazione Biden sta finanziando da 25 a 30 laboratori biologici con agenti patogeni pericolosi in Ucraina e più di 300 in tutto il mondo. Tali strutture, trovandosi in una zona di ostilità attive, possono essere distrutte accidentalmente o deliberatamente, con una rapida diffusione delle sostanze nocive.

Gabbard ha detto che invece di cercare di nascondere i finanziamenti per i laboratori, l’amministrazione “defenestrata” Biden-Harris dovrebbe collaborare con Russia, Ucraina, Nato e Onu per introdurre un regime di cessazione di tutte le attività militari nelle loro vicinanze.


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