Torture e abusi nel carcere di Trapani: arrestati 11 agenti
Un vero e proprio terremoto giudiziario, un ennesimo scandalo che travolge un carcere per casi di torture e abusi, stavolta il Pietro Cerulli di Trapani: venticinque poliziotti penitenziari, accusati a vario titolo e in concorso di tortura, abuso d’autorità contro i detenuti ristretti in quella prigione e falso ideologico, sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 arresti domiciliari e 14 sospensioni dal pubblico ufficio. Indagini che erano in corso da tre anni, avviate nel 2021, scattate dopo alcune denunce effettuate dai detenuti del penitenziario trapanese che avrebbero subito maltrattamenti in luoghi privi di telecamere: Una volta installate, queste avrebbero registrato ripetute violenze da parte di alcuni agenti nei confronti dei detenuti.
Nell’inchiesta espressamente indicati episodi di torture e abusi. In particolare, sono state disposte ed eseguite 11 misure cautelari applicative degli arresti domiciliari, 14 misure interdittive della sospensione dell’esercizio del pubblico ufficio di appartenenti alla Polizia Penitenziaria. Eseguite pure 46 perquisizioni, sempre a carico di agenti, per un totale di 46 indagati. L’odierno provvedimento cautelare disposto dall’Autorità Giudiziaria è frutto di una indagine avviata nel mese di settembre 2021 e coordinata dalla Procura della Repubblica di Trapani.
Le attività investigative sono state originate da alcune denunce effettuate dai detenuti ristretti nell’istituto penitenziario trapanese i quali rappresentavano di aver subito maltrattamenti in luoghi privi di telecamere di sorveglianza. Denunche che hanno costituito il presupposto per lo sviluppo delle indagini con l’installazione di dispositivi di telesorveglianza che hanno alla fine inchiodato gli agenti oggi ritenuti responsabili di quanto accaduto, successivamente identificati attraverso ulteriori ricognizioni fotografiche da parte dei detenuti che li avevano denunciati.
L’inchiesta parla di “comportamenti e azioni penalmente rilevanti”, di “un modus operandi diffuso, consistente in violenze fisiche ed atti vessatori nei confronti di alcuni detenuti”, di “condotte reiterate nel corso del tempo e messe in atto in maniera deliberata da un gruppo di agenti penitenziari”.
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