Cronaca

Il brigadiere incastra i quattro killer di Tommaso Lotto

di Ivano Tolettini -


Se la giustizia ha fatto il suo corso dodici anni dopo l’omicidio a San Paolo del Brasile del 27enne consulente finanziario Tommaso Lotto (nella foto), ucciso durante il tentativo di rapina del suo Rolex, con la condanna a pene complessive per 105 anni di carcere dei quattro killer, una parte del merito va ascritta al brigadiere dei carabinieri Fabrizio Cannata. Il sottufficiale, adesso in pensione, dovrebbe tenere un master per giovani investigatori per spiegare com’è possibile partendo da un indizio sulla rotta Vicenza-Madrid, con l’aiuto dell’ingegnere elettronico Tommaso Occhipinti, che ha messo a punto il software per leggere da un pessimo filmato le targhe dei veicoli degli assassini, e un Pm determinato, Paolo Pecori, incastrare dall’altra parte del mondo la banda di predatori sanguinari che la sera del 21 luglio 2012 all’esterno di un locale notturno assassinarono Tommaso, figlio di un noto commercialista di Vicenza. Quest’ultimo non si è mai rassegnato alla perdita, per la banalità del male, di un figlio molto in gamba, che dopo la laurea alla Bocconi si era trasferito negli Stati Uniti per diventare un consulente finanziario e legale. Quando al brigadiere Cannata nel 2014 il Procuratore aggiunto di Vicenza, Pecori, affidò il fascicolo riaprendo il caso, a San Paolo la procura generale lo aveva già archiviato. Due dei possibili assassini che erano stati individuati dopo qualche mese, erano stati subito dopo rilasciati per mancanza di indizi. Per prima cosa Cannata si recò a Madrid, dove su rogatoria raccolse la testimonianza di Josè Ruiz Gallardon, figlio del ministro di Giustizia spagnolo che era con Tommaso la sera dell’esecuzione. Costui l’indomani senza essere ascoltato dalla polizia, era stato imbarcato su un aereo dei servizi segreti per la capitale spagnola, perché gli inquirenti ritenevano che fosse lui l’obiettivo dei banditi. In realtà, anche Josè Ruiz aveva un Rolex al polso e aveva rischiato di essere ucciso. Si salvò al semaforo gettandosi dall’auto guidata dall’amico e gattonando fino sotto un’edicola dove i killer non arrivarono. Dunque, ipotizzò Cannata, i rapinatori entrarono in azione perché qualcuno li aveva informati che i due ragazzi col Rolex avevano appena lasciato il locale dove si erano piacevolmente trattenuti. Chi era la talpa? Il “manovrista” che aveva parcheggiato la macchina dei ragazzi, pensò il carabiniere, e che come spiegò Gallardon, la riconsegnò all’uscita. Fu lui a informare i banditi. Del resto dal momento in cui gli europei avevano strisciato la carta di credito per pagare la consumazione, a quello in cui furono aggrediti al semaforo a poche centinaia di metri di distanza, erano trascorsi pochi minuti. Fu Cannata a far acquisire alla polizia carioca la nota del registratore di cassa. Secondo passaggio chiave, i detective brasiliani avevano il filmato di due auto e una moto che fuggivano contromano dopo la rapina costata la vita a Tommaso, ma non erano mai riusciti a risalire ai numeri di targa. A individuarli fu l’ing. Occhpinti di Padova, incaricato dal Pm Pecori – al quale quando andò in pensione subentrò nel coordinamento delle indagini il collega Hans Roderich Blattner – della consulenza, su indicazione di Cannata che teneva i contatti con l’Interpol, grazie al software italiano sviluppato a tempo di record che realizzò il miracolo. A questo punto risalendo al proprietario di uno dei veicoli, e grazie ad alcune intercettazioni ambientali ordinate dal tribunale di San Paolo una volta individuati i potenziali componenti della gang, due dei quali come abbiamo detto erano stati sospettati nella prima fase delle indagini, fu possibile al Pm brasialiano Marcelo Luiz Barone chiudere il cerchio e chiedere le misure cautelari in carcere. Che furono disposte dal giudice lo scorso aprile. In carcere finirono il killer di Tommaso, José Alexandro De Almeida Rodrigues, detto “Zoio de gato” (occhi di gatto), cui giovedì scorso la giuria della 12esima sezione criminale di San Paolo, presieduta da Eva Lobo Chaib Dias Jorge, ha inflitto 29 anni e 3 mesi di carcere; Alexandre Dos Santos Ezique, detto “Madona”, condannato alla stessa pena; Paulo Pinheiro Da Silva, soprannominato Baia, cui sono stati inflitti 25 anni e 1 mesi di reclusione, e infine Ismael De Oliveira Munhos, condannato a 21 anni e 9 mesi di reclusione. “Ringraziamo la Procura di Vicenza e il brigadiere Cannata – afferma Massimo Lotto – perché con grande professionalità sono riusciti a far riaprire le indagini e ad arrivare alla verità dodici anni dopo. Un risultato straordinario”.

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