Il Viminale condannato a pagare 3 milioni a Cabassi per il Leoncavallo non sgomberato
La tolleranza costa tre milioni di euro: la Corte d’Appello di Milano, con una sentenza che servirà a rinfocolare polemiche ogni volta sopite e poi di nuovo armate contro un simbolo ultradecennale della trasgressione e della contestazione – ha condannato il ministero dell’Interno a risarcire con circa tre milioni la società Orologio, della famiglia Cabassi, per il mancato sgombero dello stabile di via Watteau in cui ha sede lo storico Centro sociale Leoncavallo, il cui rilascio era stato deciso nel 2003 e confermato dalla Cassazione nel 2010.
Ritorna clamorosamente in primo piano la vicenda dello storico Centro sociale milanese. La Corte d’Appello condivide le ragioni della proprietà che lamentava una “condotta omissiva della Pubblica amministrazione, consistita nell’ingiustificata mancata concessione della forza pubblica al fine di consentire l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali”, come chiesto più volte negli anni. E i giudici milanesi della Seconda sezione civile arrivano a questa determinazione citando pure le sentenze della Corte europea e della Cassazione, ritenendo che “le ragioni di tutela dell’ordine pubblico” prese in considerazione nella lunga vicenda “non possano giustificare la mancata esecuzione del provvedimento giurisdizionale di rilascio” del Leoncavallo.
La storia del Leoncavallo – così tuttora si racconta il Centro – “inizia il 18 ottobre 1975, quando un’area dismessa di 3600 mq, situata in via Leoncavallo 22 a Milano, viene occupata da un gruppo di militanti extraparlamentari provenienti da diverse esperienze interne al movimento rivoluzionario che caratterizzò il lungo ’68 italiano”. Il 18 marzo 1978, l’irruzione piena degli Anni di piombo nella storia del Centro, con “un agguato fascista in cui vengono uccisi, a colpi d’arma da fuoco, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, militanti del Leoncavallo”, da tempo impegnati in una controinchiesta sullo spaccio di eroina nel quartiere. Le loro madri e altre donne del Centro sociale daranno vita da allora al gruppo “mamme del Leoncavallo”, impegnandosi nella lotta contro l’eroina.
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