Il verdetto delle toghe rosse: sospesi i trattenimenti in Albania. Parola alla Corte Ue
Le toghe rosse bocciano ancora il modello Albania. E inaspriscono lo scontro con il governo, ignorando il decreto legge sui Paesi sicuri in cui sono inseriti Egitto e Bangladesh, i paesi d’origine del gruppo di migranti trasferito lo scorso venerdì nel centro albanese di Gjader, per la procedura accelerata della richiesta d’asilo. Ieri dai giudici, con una decisione già annunciata nel corso della due giorni per i sessant’anni di Magistratura Democratica, è arrivata l’ennesima entrata a gamba tesa nelle politiche migratorie dell’Esecutivo. La sezione immigrazione del tribunale civile di Roma, quella in cui opera la presidente di Md Silvia Albano, ha infatti sospeso la convalida dei trattenimenti nel Cpr albanese per i sette clandestini provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh. Il provvedimento stavolta non è una bocciatura ma una sospensione del giudizio, che di fatto avrà lo stesso effetto di una non convalida, visto che implica la liberazione dei migranti, per i quali la Questura di Roma aveva deciso il trattenimento a Gjader. E ancora una volta i provvedimenti del Viminale sono stati annullati dagli stessi giudici di Roma, ma con una novità rispetto alle decisioni precedenti. Perché il Tribunale capitolino, seguendo la scia dei colleghi di Bologna e Palermo, ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, in attesa di un parere che chiarisca la questione dei Paesi sicuri, che secondo le toghe rosse non devono essere indicati dal governo Meloni ma del diritto dell’Unione Europea, e metta nero su bianco la preminenza della normativa sovranazionale su quella italiana. “I giudici hanno ritenuto necessario disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, formulando quattro quesiti, analogamente a quanto già disposto nei giorni scorsi da due collegi della stessa sezione in sede di sospensiva dei provvedimenti di rigetto di domande di asilo proposte da persone migranti precedentemente trattenute in Albania”, spiega la nota diffusa dalla Sezione immigrazione del Tribunale civile di Roma. “Il rinvio pregiudiziale è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale emersi”, si legge, “a seguito delle norme introdotte dal citato decreto legge, che ha adottato una interpretazione del diritto dell’Unione europea e della sentenza della CGUE del 4 ottobre 2024 divergente da quella seguita da questo Tribunale – nel quadro della previgente diversa normativa nazionale – nei precedenti procedimenti di convalida delle persone condotte in Albania e ivi trattenute”. Insomma, spiegano i giudici romani, “tale scelta è stata preferita ad una decisione di autonoma conferma da parte del Tribunale della propria interpretazione, per le ragioni diffusamente evidenziate nelle ordinanze di rinvio pregiudiziale. Deve evidenziarsi che i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del Legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto – come in qualunque altro settore dell’ordinamento – la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana”. Un passaggio, questo, che di fatto è uno schiaffo per il governo, cui spetterebbe il compito di decidere, sulla base delle indicazioni della Farnesina, quale Paese sia da considerarsi o meno sicuro. “Deve essere inoltre chiaro”, prosegue la nota, “che la designazione di Paese di origine sicuro è rilevante solo per l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia”. Insomma, il problema non è rimpatriare i clandestini, ma colpire il modello Albania, al quale l’Europa guarda con interesse, al fine di capire se possa essere adottato da altri alleati per arginare l’invasione incontrollata nel vecchio continente.
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