Con Trump alla Casa Bianca ecco cosa può fare il Made in Italy per crescere negli Usa
Cautela, qualche preoccupazione e il mantenimento delle posizioni fin qui assunte: queste finora le reazioni in Italia, oltre ogni possibile tifo, all’elezione di Donald Trump negli Usa: ma quale rotta possibile può essere percorsa dal Made in Italy? Analizzando gli annunci della campagna elettorale di Trump e la politica attuata nel suo mandato precedente per il Made in Italy negli Stati Uniti potrebbero aprirsi delle prospettive interessanti, in un mercato dove il giro d’affari è suscettibile di poter aumentare fino a 8 miliardi di dollari grazie alle politiche economiche espansive di Trump e nonostante le possibili politiche tariffarie che il presidente potrebbe mettere in pista. Un potenziale che può essere sfruttato dalle aziende italiane, a condizione di conoscerne bene le caratteristiche e le regole. Una sorta di vademecum per sfruttare le opportunità del nuovo corso statunitense, fatto da chi opera con aziende italiane negli Stati Uniti da oltre un decennio, è quanto propone Mauro Bandelli, partner e founder di Gen Usa, una società che affianca le aziende italiane per essere competitive e presenti nel mercato statunitense.
La vittoria di Donald Trump e la sua politica “America First” – fa sapere Bandelli – ci permette di prevedere l’impatto nei rapporti di business internazionali, che vede coinvolte molte imprese italiane che operano con gli Stati Uniti. Gli Usa rappresentano infatti il mercato più importante per le aziende del Made in Italy: il 24% delle vendite per un valore di 72,9 miliardi di dollari nel 2023, cresciuto del 5,4% rispetto al 2022; numeri che rendono l’Italia l’undicesimo Paese fornitore, con una quota di mercato del 2,3%. Un risultato determinato dalla percezione altamente positiva del valore del Made in Italy nell’ambito alimentare, della cosmetica, dell’abbigliamento, del lusso in senso trasversale, dell’arredamento e della tecnologia in particolare collegata a questi settori.
Secondo Bandelli, Donald Trump incentiverà innanzitutto gli investimenti esteri negli Stati Uniti. Poi, è da prevedere un rafforzamento delle politiche economiche già esistenti che salvaguardano il “made in Usa”, con l’introduzione di obblighi per le aziende della Pa a rifornirsi da fornitori locali (con la presenza americana nell’azionariato) e sgravi fiscali per il private che si rifornisce da aziende locali. Due macro aspetti che indirizzano le aziende italiane a produrre o assemblare prodotti direttamente sul territorio Usa, adeguandosi alla necessità di costruire una struttura solida per la supply chain e nel versante finanziario.
“Anche gli annunciati dazi per i prodotti esteri per le merci di alta qualità esportate dall’Italia non avranno un grande impatto, in quanto i consumatori statunitensi di questi beni sono poco sensibili ai prezzi e a possibili aumenti. Le nostre analisi stimano un giro d’affari potenziale di 8 miliardi di dollari l’anno. nel corso del mandato di Trump – afferma Bandelli –. Un mercato ampio (335 milioni di abitanti), con un Pil pro-capite medio/alto, un sistema politico stabile, un contesto economico dinamico e fortemente orientato al business, ma al tempo stesso un mercato complesso e molto esigente da approcciare in maniera completamente differente rispetto a quello italiano. Per conquistarlo, ci sono anche facilitazioni offerte dal sistema americano: credito di imposta, finanziamenti agevolati, supporto nella ricerca del sito produttivo, nella ricerca di personale e nella supply chain. Aiuti disponibili solo se si conoscono e si rispettano regole precise e si dimostrano investimenti sul territorio”.
La rielezione di Donald Trump potrà quindi portare vantaggi significativi per alcune aziende italiane anche se le politiche protezionistiche e le possibili tensioni commerciali rappresentano rischi che potrebbero influenzare negativamente: solamente le aziende capaci di navigare con attenzione queste dinamiche sapranno massimizzare i benefici e mitigare i rischi associati.
Bandelli elenca gli aspetti da considerare. Il primo è l’apertura di una filiale: “Costituire un soggetto giuridico con sede negli Usa e una ampia autonomia decisionale e indipendente dalla casa madre è un passo indispensabile per avere continuità nei flussi di vendita e governare il mercato. Dipendere completamente dalla distribuzione Usa significa avere un fattore di incertezza troppo rischioso sulla necessaria conoscenza del mercato e non poter governare i differenti fattori di competitività”.
E poi fa un esempio: “Non basta avere il miglior Parmigiano Reggiano o prosciutto di Parma perché il mercato statunitense ti apra le porte. Vuole la qualità italiana, ma con le caratteristiche specifiche dal packaging ai tempi di approvvigionamento e i servizi che decidono loro, con differenze sostanziali tra i vari canali di vendita. Il time-to-market è veloce e variabile e soddisfarlo determina il successo o l’insuccesso di qualsiasi prodotto. La disponibilità dei prodotti sul territorio e la rapidità di consegna nei quantitativi desiderati è un fattore critico di successo o di insuccesso. Ecco perché il governo del processo deve essere locale, dove locale sottintende capire che c’è una distanza di quasi 5mila chilometri tra New York City e San Francisco”.
Un capitolo a parte, la vasta gamma di regolamentazioni federali, statali e locali, con alcuni requisiti normativi articolarmente rigidi proprio in settore chiave del Made in Italy come l’alimentare: Fda (Food and Drug Administration) e Usda (United States Department of Agriculture) hanno giurisdizione su diversi aspetti della produzione e della distribuzione alimentare, con particolare attenzione alla sicurezza alimentare, i cui standard sono molto elevati e soggetti a frequenti ispezioni. In alcuni casi specifici alcuni cibi freschi non si possono importare negli Usa: i prodotti a base di carne devono essere certificati dall’Usda e provenire da impianti certificati. I formaggi italiani a base di latte crudo non pastorizzato che non sono stati stagionati per almeno 60 giorni non possono, per esempio, essere importati negli Stati Uniti. Frutta, verdura e altre piante fresche sono invece soggetti a controlli fitosanitari”.
Un mercato eterogeneo, impegnativo e complesso ove lo sviluppo commerciale richiede tempi lunghi e investimenti consistenti: “per questo l’approccio deve essere scientifico, strutturato e metodologico, con una strategia di medio-lungo termine (3-5 anni) che sia ben chiara e con tempi, costi, attività e responsabilità molto definite”.
Il “vademecum” per sbarcare negli Usa è sintetico ma approfondito e dettagliato, dalla necessità di un piano di fattibilità a quella di un’analisi del mercato, fino a un piano di go-to-market a un business plan definito, al via di una sede in Usa, alla logistica e alla contrattualistica con clienti e fornitori. Le armi per fare la differenza negli Usa con il Made in Italy anche nella prossima era Trump.
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