Effetto Trump. Più Budapest e Roma, meno Berlino e Parigi
Ha preso il via ieri alla Puskas Arena di Budapest la quinta riunione della Comunità politica europea con il premier ungherese Viktor Orban ad accogliere i leader invitati, da Meloni e Zelensky al segretario della Nato, Mark Rutte. Oggi, invece, sarà la volta di un Consiglio europeo informale dal quale si attende un “Nuovo patto europeo per la competitività” sulla base dei rapporti redatti dagli ex premier italiani Enrico Letta e Mario Draghi. Accanto ai protagonisti annunciati, ve ne sarà uno dell’ultima ora, una sorta di convitato di pietra destinato ad incidere su alleanze presenti ed equilibri futuri: Donald Trump, eletto presidente degli Usa a furor di popolo. Alla premier italiana Giorgia Meloni toccherà l’arduo compito di destreggiarsi tra il claudicante asse franco-tedesco e l’amico Orban.
Affidarsi alle contromosse del duo Emmanuel Macron-Olaf Scholz, che hanno parlato di uno “stretto coordinamento” e di un lavoro per “un’Europa forte e coesa”, esporrebbe Roma a gravi rischi, viste le fibrillazioni interne a Parigi e Berlino. Il ritorno di Trump cambia le carte in tavola anche all’Eurocamera, con il Ppe che ha meno margini di manovra per eventuali maggioranze con chi, come i sovranisti, può avere nel tycoon un riferimento capace di far “saltare il banco”.
In Germania la situazione è seria. In un discorso di circa dieci minuti, il cancelliere socialdemocratico Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze liberale Christian Lindner. Il terremoto pone fine a tre anni di coalizione “tricolore” tra SPD, FDP e Verdi e apre le porte ad un’imminente ricomposizione politica. Se si dovesse entrare in un regime di gestione provvisoria, i tedeschi si dovrebbero accontentare di un ruolo non primario in una fase cruciale.
Per l’edizione europea di Politico sono i leader populisti europei di destra i “veri vincitori” delle elezioni americane. La testata ha evidenziato come gli alleati del nuovo presidente sperino che possa mettere rapidamente fine alla guerra in Ucraina e rafforzare la loro posizione sulla scena europea, appoggiandoli nelle battaglie condivise, dalla lotta senza quartiere all’immigrazione illegale alla difesa dei valori cristiani.
L’aspetto più importante della vittoria del leader del GOP, secondo Politico, è proprio che i leader sovranisti sentiranno di avere una maggiore copertura politica per ostacolare von der Leyen su temi come le sanzioni contro la Russia ed il Green Deal. Le difficoltà del governo in Francia ed il crollo della coalizione in Germania offrono più spazio agli “amici conservatori di Orban nell’Europa centrale e all’Italia per stabilire il tono politico nell’Ue”, sottolinea ancora il sito.
“È ovvio che questo è il grande momento per le Meloni e gli Orban di questo mondo. Noi non abbiamo alcun controllo sulle grandi questioni internazionali del giorno”, ha osservato un alleato di Macron.
Politico ha elencato tutti i capi di governo europei che potrebbero trarre vantaggio dal cambio alla Casa Bianca: “Oltre a Orban, la premier italiana Giorgia Meloni e il cancelliere austriaco Karl Nehammer sono entrambi ideologicamente vicini a Trump, sebbene Meloni non condivida la posizione filo-russa di Orban”.
A loro si possono aggiungere anche la coalizione di governo olandese sostenuta da Geert Wilders, “un politico populista anti-Islam e anti-immigrazione” ed il primo ministro slovacco Robert Fico, invischiato in una disputa sullo stato di diritto con Bruxelles e che “come Orban condivide le inclinazioni filo-russe dell’ungherese”.
Cresce l’attesa per la dichiarazione sul “New Deal” europeo per la competitività. Il documento, il cui scopo è superare il divario che separa l’Unione europea da Stati Uniti e Cina in termini di innovazione e produttività, non è arrivato ancora alla stesura definitiva per la mancanza di unanimità sul nodo dei finanziamenti. Al momento, i i leader dei 27 Paesi sono fermi agli appoggi di principio di proposte come quella “draghiana” del debito comune europeo. Poco, per non dire nulla.
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