Quando dicono che l’elezione di Trump negli States cambia tutto, ecco è proprio così: prendete, per esempio, la manovra che ieri il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti s’è trovato a dover presentare in audizione alla Camera dei Deputati. A Donald Trump non piacerà granché l’aumento (esponenziale) della tassazione imposta sulle plusvalenze da criptovalute. E, sicuramente, al nuovo inquilino della Casa Bianca, non sarà piaciuto granché il fatto che l’Italia non riuscirà a devolvere il 2% del Pil per le spese militari Nato così come s’è sgolato (per tutta la campagna elettorale ma pure durante il suo primo mandato) proprio Donald Trump. Sul tema delle spese militari, Giorgetti già rimbalza le polemiche e rimbalza i contabili dell’Alleanza atlantica: citofonassero a Bruxelles. “Nonostante gli ingenti stanziamenti assegnati, l’obiettivo del 2 per cento del Pil richiesto dalla Nato risulta molto ambizioso e non del tutto compatibile sotto il profilo in particolare delle coperture con il quadro vigente della governance europea”, ha affermato Giorgetti. Che ha snocciolato le cifre: “Alla luce, infatti, degli stanziamenti previsti dal disegno di legge di bilancio arriveremo alla percentuale dell’1,57 per cento nel 2025, dell’1,58 per cento nel 2026 e dell’1,61 per cento nel 2027”. L’altra delusione, per Trump, sarà quella sulle criptovalute. Giorgetti, difatti, ha svelato che l’aliquota salirà dall’attuale 26% al 42%. A Washington non se ne facciano un cruccio: “La diversa aliquota applicata a diverse forme di investimento del risparmio, già prevista dall’ordinamento – ha spiegato il ministro – risponde alla logica di premiare le caratteristiche di investimento paziente e di lungo termine”. Magari titoli di Stato, bond ed eurobond. Del resto lo aveva detto proprio Giorgetti, poco più di una settimana fa: occorre mobilitare il risparmio europeo per far sì che l’Europa ritrovi slancio, vigore e concorrenzialità sullo scenario globale.
Ma, è abbastanza chiaro, Giorgetti non s’è presentato in Parlamento per far dispetto a Trump. Il discorso sulla manovra, carissima al ministro, è stato più ampio. E, a tratti, ottimista: “Non sarei stupito da eventuali revisioni al rialzo anche relativamente alle stime preliminari del Pil 2024. Le prospettive di crescita a breve termine risultano, nel complesso, ancora incoraggianti. I modelli di previsione interni lasciano ritenere che, nel trimestre finale dell’anno, il pil dovrebbe tornare in espansione, grazie al recupero della domanda estera netta e al prosieguo della ripresa dei consumi”, ha sussurrato il titolare del Mef. Che ha svelato ai parlamentari di avere un obiettivo ambizioso: “Sogno un debito al 60% del Pil, come in Germania. Così si libererebbero risorse per 45 miliardi in termini di interessi da poter spendere per scuola, sanità, pensionati”. Altro che coperta corta, senza la pressione (eccessiva) del debito, l’Italia potrebbe davvero correre. Intanto, il ministro difende le misure espansive: “La riduzione del cuneo fiscale è stata rivista nelle modalità di applicazione, che consentiranno di ampliare l’ambito soggettivo della misura estendendola, tra l’altro, anche ai redditi fino a 40mila euro, con benefici per ulteriori tre milioni di contribuenti e di attenuare le distorsioni legate al cosiddetto effetto soglia che caratterizzava lo schema precedente”. Inoltre, ha aggiunto Giorgetti, “diventa strutturale anche l’articolazione delle aliquote Irpef basata su tre scaglioni introdotta per il 2024”. Entrambe le misure “determinano un effetto complessivo pari a circa 18 miliardi annui”.
Per farlo, però, occorre trovare le risorse. Oltre a quelle che arriveranno dal concordato (1,3 miliardi), ci saranno quelle giunte dall’applicazione delle nuove norme sulla tracciabilità che porteranno, nelle casse dello Stato, qualcosa come 1,4 miliardi di euro. Inoltre, a proposito di milioni da incassare, Giorgetti – a margine dell’audizione – s’è detto “aperto” alla possibilità di incontrare (magari già sabato, come sibilano le “solite” fonti?) il Ceo di Lufthansa Carsten Spohr. Nonostante le parole di Giorgetti, ai sindacati la manovra continua a non piacere: sicuramente peggio di quanto non potrebbe piacere a Trump. Cgil e Uil hanno muro anche sul nuovo contratto per gli statali delle funzioni centrali che prevede la possibilità della settimana da quattro giorni lavorativi (pur mantenendo le 36 ore lavorative) e aumenti da 165 euro su tredici mensilità. La Cisl ha firmato, insieme a Confsal Unsa, Flp e Confintesa Fp. La Duplice Cgil-Uil non è soddisfatta dell’intesa che riguarda i 195mila dipendenti dei ministeri.