Con la nuova elezione di Trump finisce un’era, cambia tutto in America e nel mondo: è tempo di Trumpnomics. Forse è troppo presto per definirla (già) così. Epperò le posizioni del tycoon, premiate dagli elettori americani con una valanga di voti, sono state sempre nette e precise. Su temi caldissimi: dai dazi fino ai tassi di interesse e alle politiche monetarie, passando per l’innovazione e le criptovalute. La vittoria di Trump è stata salutata, dai mercati, con fiducia. Se non altro perché ci si attendevano estenuanti maratone nei conteggi, guerre di ricorsi, valanghe di polemiche. Che non ci sono state. Il risultato è stato netto, chiaro, fin dal principio. Donald Trump tornerà alla Casa Bianca. I numeri parlano chiaro: a Wall Street il futures sul Dow Jones ha fatto segnare quasi +3%, mentre Nasdaq e Standard & Poor’s 500 hanno messo a referto, rispettivamente, +1,6% e +2,1%. I titoli di Stato americani sono schizzati al 4,4% di rendimento e c’è chi sogna di raggiungere da subito il 5%. Pure l’Europa, inizialmente, ha goduto dell’onda di rialzi dagli States. Che, però, si è ridimensionata. Perché ora s’apre una fase transitoria importante tra Washington e Bruxelles. Trump non ha mai nascosto l’idea di applicare dazi alle importazioni, cosa peraltro già applicata dalla precedente amministrazione Biden, e di estenderli ai beni prodotti in Europa. Ma sono tante le incognite (vere) che gravano su Bruxelles. Dalla guerra in Ucraina, su cui l’Ue in termini economici (e politici) s’è svenata investendo tutto ciò che aveva, fino alle politiche monetarie. Già, perché se c’è una cosa che cambierà negli Stati Uniti è proprio l’approccio al tema del costo del denaro. La Fed americana ha lottato contro l’inflazione a colpi di rialzi, scatenando crisi che si sono riverberate prima sui titoli di Stato e, quindi, sono deflagrate sul sistema bancario regionale. Ricordate, il crac della Silicon Valley Bank? Trump non è mai stato d’accordo con questo genere di politiche e, anzi, ha più volte promesso agli elettori americani la testa di Jerome Powell, governatore della Fed nonché grande sostenitore dell’austerity. Che, in Europa, ha trovato un’adesione che definire entusiastica è ancora poco tra i falchi che siedono nel board della Bce presieduta da Christine Lagarde. Che, a sua volta, non ha più scuse (ammesso e non concesso che ne avesse anche prima) per frenare la discesa del costo del denaro in un’Europa letteralmente disastrata. Che deve fare i conti con un’altra conseguenza dell’elezione del tycoon: il dollaro, quando l’ago della bilancia politica pendeva verso il Gop, s’è rivalutato con forza sull’euro. Un altro aspetto, non secondario, del successo di Trump riguarda la tecnologia, l’innovazione e gli investimenti nella ricerca. Elon Musk, con la sola vittoria del “suo” candidato alla presidenza Usa, ha guadagnato miliardi. Le azioni di Tesla hanno registrato rivalutazioni a doppia cifra (ha aperto le quotazioni col +13% e poi il titolo è salito fino al 15%) e l’esito delle elezioni ha premiato anche le altre aziende della sua sterminata galassia economica e finanziaria. Festeggia, ovviamente, anche Trump Media, la società editrice del suo social Truth: +32 per cento. In orbita con Trump e Musk vanno anche le criptovalute. Il neo presidente Usa ha promesso di fare degli States “la capitale mondiale” delle crypto e s’è detto interessato a costituire una riserva nazionale in Bitcoin. La regina delle monete virtuali, non a caso, ha visto lievitare il suo valore fino a più di 75mila dollari. Un record. Ma il patron di X ha intenzione di fare sul serio e di prendersi in prima responsabilità più di una responsabilità di governo: ha già dichiarato guerra alla burocrazia e promesso un taglio radicale alle agenzie per liberare le energie economiche del Paese. Parole al miele per gli investitori e per quella parte (numerosa) del panorama industriale americano che vuole uscire dagli schemi del poco remunerativo capitalismo woke e girare le spalle, una volta e per tutte, agli Esg. E questa sì che è una notizia. Già, perché il malcontento delle grandi imprese americane contro il sistema woke è una realtà. Go woke, go broke: non si dice per caso né è uno slogan da complottisti. Sempre più imprese avevano già avviato l’uscita dai Dei, i programmi di assunzione non per merito ma per rappresentanza di minoranze e comunità sociali. “Dei must Die”, aveva tuonato Musk. Se le premesse che appaiono alla base della Trumpnomics saranno rispettate, per l’economia occidentale si apre una nuova fase. E un’era, quell’austerità e del capitalismo woke, volge al tramonto