Difendere la pluralità educativa per tutelare la libertà di ciascuno
Negli ultimi mesi sembra essere stata avviata una campagna di critiche aspre verso le università private, specialmente quelle telematiche. Sono accusate sostanzialmente di offrire “lauree facili” e di essere promosse da politici conservatori. Il tutto avverrebbe a scapito delle università statali, che garantirebbero invece un processo di istruzione più lungo, faticoso, burocratico e per questo di valore. In questo scenario, la sinistra accademica e i suoi alleati mediatici si sono accaniti per screditare la popolarità crescente di queste università. In un contesto dominato da prospettive ideologiche omogenee, infatti, non c’è spazio per un’autentica pluralità intellettuale e la concorrenza offerta dalle università telematiche rappresenta un’inaccettabile sfida alla consolidata autorità.
La critica più importante avanzata dai radical chic di scuola marxista è che l’espansione delle università telematiche minacci la qualità e la serietà dell’istruzione universitaria. Per esempio, si è notato che il 44,8% ottiene la laurea breve in tre anni, contro il 37,8% dei laureati negli atenei tradizionali. Ma ciò sarebbe colpa della “faciloneria” delle università telematiche, non della burocrazia che fossilizza le università statali…
Tuttavia, ciò che si cela davvero dietro a cotanta ostilità è la volontà di conservare il monopolio ideologico su cui si fonda la formazione della maggior parte della classe docente. L’attuale guerra contro le università private è, inoltre, il segnale di un sistema che teme la diversità e l’innovazione, sebbene in Italia, a quanto pare, vi sia il più alto numero di università telematiche d’Europa. L’uniformità dell’istruzione, infatti, limita non soltanto le possibilità di dibattito, ma anche quelle di innovazione (nei contenuti, nei metodi e nelle tecnologie di insegnamento) che solo un sistema educativo pluralistico può garantire.
Alcune critiche sono state mosse anche per accusare l’attuale governo “collusione” con le università private, suggerendo, per esempio, la volontà di promulgare leggi che puntino a ridurre le barriere per le telematiche. Insomma, leggi che fungano da “ricompensa” per accordi politici preesistenti. Tuttavia, queste polemiche, anziché costruire un dibattito sul valore effettivo degli atenei telematici, etichettano e riducono gli stessi a uno strumento politico, associandoli alla mercificazione e alla presunta diluizione della qualità educativa. Insomma, noi italiani dobbiamo sempre “buttarla in politica”.
Nonostante le critiche di parte, le università telematiche si sono dimostrate un’opzione valida per coloro che cercano flessibilità e modelli di apprendimento alternativi, come dimostrato dal successo e dalla domanda crescente di iscrizioni. Molte di queste università seguono standard accademici rigorosi e forniscono ai propri studenti l’accesso a un’istruzione di qualità. È del tutto illogico, quindi, negare che esse possano arricchire il panorama educativo offrendo percorsi formativi non solo accessibili, ma anche in grado di rispondere a esigenze sempre più specifiche del mercato del lavoro.
Alla base della campagna denigratoria c’è, molto probabilmente, anche l’intento di proteggere il flusso di fondi verso le università pubbliche, a cui sono destinati annualmente circa 8 miliardi di euro in sovvenzioni, garantendo così il mantenimento di un sistema che, secondo i suoi sostenitori, rappresenterebbe un “bene fondamentale per il futuro del Paese”.
Questo approccio intende soffocare le alternative private, che potrebbero invece contribuire a un più ampio accesso all’istruzione e a una maggiore competitività internazionale. Il diritto di scegliere tra un sistema di istruzione pubblico e uno privato è una garanzia di libertà individuale e, per questo motivo, va protetto, ampliato e tutelato, non soffocato da una retorica che mira a privare l’istruzione delle sue possibilità di innovazione.
Invece di demonizzare gli atenei telematici, dovremmo concentrare gli sforzi nell’assicurare che queste mantengano standard di qualità elevata. In che modo? L’apertura alla concorrenza stimola sia il miglioramento delle tecniche didattiche che la diversificazione delle prospettive culturali e ideologiche. L’attuale sistema monopolistico non può che soffrire di stagnazione e appiattimento ideologico, mentre un pluralismo educativo, aperto anche al settore privato, darebbe spazio a visioni più eterogenee.
Dovremmo abbracciare questa diversità e incoraggiare la nascita di nuove istituzioni che possano contribuire a un dialogo culturale vivace e autentico, piuttosto che sottomettere l’intero sistema educativo a un’unica linea ideologica. La difesa delle università telematiche è, in fondo, una difesa della libertà individuale: libertà di apprendere, di scegliere e di confrontarsi con diverse visioni del mondo, senza limitazioni arbitrarie. La vera “qualità educativa” non si raggiunge con un monopolio statale, ma con un sistema che accoglie e rispetti le diverse culture e i più differenti progetti educativi.
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