Alberobello, gioiello italiano simbolo della cura della casa
di GIANLUCA GIOÈ – Alberobello, gioiello paesaggistico incastonato in terra di Puglia, è candidata a ricoprire il prestigioso ruolo di capitale della Cultura 2027. Entro il 28 marzo 2025, qualora dovesse surclassare le città concorrenti, potrebbe conseguire l’importante traguardo di vedersi riconosciuta la prestigiosa onorificenza di capitale della cultura. Si tratta infatti di un borgo unico al mondo, dalle evidenti peculiarità urbanistiche messe in risalto dal fascino fiabesco dei suoi trulli. Alberobello è già stata inclusa dall’Unesco tra i siti del patrimonio mondiale dell’umanità nel 1996, l’incoronazione a capitale della cultura potrebbe a buon diritto sugellarne il cursus honorum. Le origini della ridente cittadina pugliese risalgono al XVI secolo quando un nugolo di contadini scelse di popolare un territorio brullo e inospitale, rendendolo fertile agli scopi della coltivazione diretta. Si trattava di una zona sotto il dominio degli Acquaviva d’Aragona, conti di Conversano, il cui fondatore, Gian Girolamo II, fu magnanimo nel concedere le terre ai coloni a patto che non avessero mai impiegato la malta nell’edificazione dei loro alloggi e avessero costruito a secco. Tali soluzioni abitative, senza il forte collante della malta e di altri materiali di collegamento, dovevano avere carattere necessariamente provvisorio, i conti infatti paventavano le odiose ispezioni regie: secondo quanto prescritto dalla Prammatica de Baronibus nel periodo della dominazione spagnola, vigeva l’assoluto divieto di costruire edifici aventi carattere di stabilità, a meno che i nobili non si fossero messi in regola con il pagamento di tributi stabiliti dalla legge del Regno. In caso di controlli da parte degli ispettori regi i coloni, su impulso degli aristocratici, disinteressati a qualsiasi forma di pagamento del dovuto, avrebbero dovuto provvedere a “smontare” le costruzioni al fine di eliminarne qualsivoglia traccia per ricostruirle con lo stesso metodo, una volta terminati i controlli. Si narra che, in vista di un’ispezione regia, il conte Gian Girolamo II Acquaviva abbia fatto abbattere in una sola notte tutte le abitazioni coloniali. Ormai si era di fatto determinata negli occupanti dei trulli una condizione di insopportabile precarietà abitativa mal sopportata allora come oggi. In Puglia furono costruiti migliaia di trulli, veri capolavori della statica, privi di aperture esterne, ad eccezione della porta e di una piccola finestrella quadrata. La compattezza edilizia della costruzione garantisce una difficile dispersione del calore, facendo del trullo un antesignano dell’efficientamento energetico oggi tanto chiacchierato in Europa. Non mancava neppure un efficace sistema di raccolta delle acque piovane in apposite cisterne. Completavano l’opera deliziosi pinnacoli decorativi dalla forma dei quali si poteva riconoscere l’artefice; dal loro pregio invece era deducibile il rango della famiglia commissionante. Al pinnacolo, che aveva una chiara funzione esornativa, si attribuirono anche “poteri magici” con funzione propiziatoria e apotropaica in una sapiente e variegata commistione tra sacro e profano. Ma l’attaccamento degli Italiani alla casa ha antiche origini e i contadini, in breve tempo, escogitarono un ingegnoso stratagemma per poter risiedere stabilmente nelle loro abitazioni a trullo (dal greco thòlos “cupola”). Ma come avvenne l’affrancamento dei contadini dall’odioso giogo aristocratico? Era il 1797 quando un folto manipolo di coraggiosi alberobellesi, intenzionati a beneficiare stabilmente del loro bene più prezioso, inoltrarono al re Ferdinando IV di Borbone un’accorata istanza di definitivo affrancamento dal soffocante vassallaggio di dispotici aristocratici, che costituivano un impedimento alla realizzazione dei loro propositi abitativi. Con grande gaudio fu accolta la notizia che il sovrano aveva emanato un decreto di accoglimento dell’istanza: era il 1797, a maggio Alberobello passò ufficialmente allo status di Comune Regio. E fu proprio nello stesso anno di istituzione del comune che venne eretto il primo trullo avente carattere di stabilità, la cosiddetta Casa D’amore (che prende il nome dal suo proprietario e primo sindaco della cittadina, Francesco D’Amore) costruita facendo finalmente ricorso alla malta e dotata perfino di un balcone. Casa D’Amore è il simbolo della revanche degli abitanti di Alberobello sugli Acquaviva, grazie all’illuminato intervento di re Ferdinando IV. Oggi è sede dell’ufficio per le informazioni turistiche e una lapide ne ricorda la storia: “Ex auctoritate regia hoc primum erectum A. D. 1797” (Questa casa è stata la prima eretta a seguito dell’autorizzazione reale nell’anno del Signore 1797).
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