VISTO DA – Il thriller “sociale”, Woman of The Hour
È l’esordio alla regia di Anna Kendrick, arrivato su Netflix Italia, dove è in trend, dopo circa un anno dall’uscita negli Stati Uniti (e la presentazione in anteprima al Toronto International Film Festival): è Woman of the Hour, thriller psicologico – e inquietante – in cui la stessa Anna Kendrick riveste il ruolo di co-protagonista interpretando Cheryl Bradshaw. Siamo a Los Angeles, è il 1978: qui la giovane attrice si trova alle prese con un’industria dell’intrattenimento soffocante e sessista. E dopo una serie di no ricevuti ai provini e ai casting per film e piccole produzioni, la giovane decide di rilanciarsi con la tv, partecipando al programma televisivo “Il gioco delle coppie”. Non può immaginare che tra i tre pretendenti che sono lì per conquistarla c’è Rodney Alcala (interpretato con intensità da Daniel Zovatto) un serial killer divenuto “famoso” negli States come il famigerato “Dating Game Killer”, un nome che gli è stato affibbiato proprio per la partecipazione al tv-show. E così, l’apparente spensieratezza di un gioco di coppie, si interseca con la vera storia del serial killer: la regista ha scelto di alternare le scene del programma tv con sprazzi di vita di Rodney Alcala, facendo una varia serie di flashback e salti temporali sulle sue “conquiste” e uccisioni. Non si vede nulla di violento: non c’è la ricerca del macabro, classica delle storie di racconti di “mostri”. Tutto si gioca sulla tensione, sui silenzi, su quello che, appunto, non si vede, e soprattutto su come ci si arriva. La Kendrick riesce a costruire un crescendo di tensione, alternando il ritmo di scene inquietanti a quelle più incisive, aumentando il contrasto tra la superficialità dei media e la violenza sottostante. E sia chiaro, non è un biopic: il film oltre a raccontare, denuncia. Elemento chiave del lungometraggio è l’esplorazione della fragilità e dell’isolamento delle donne dell’epoca, le cui denunce venivano spesso derise o ignorate. Una fotografia della società degli anni ‘70 pervasa da una diffusa misoginia che lasciava le donne prive di protezione. Nel complesso, Woman of the Hour colpisce per la fotografia curata e per l’attenzione alla ricostruzione storica, dai costumi alla scenografia, offrendo un’interpretazione rispettosa degli eventi concentrandosi sulla psicologia dei personaggi e sulla denuncia sociale. Kendrick dimostra una certa padronanza dietro la macchina da presa, specialmente nelle sequenze più tese, mettendo in scena uno stato di angoscia viscerale, capace di evocare il timore che ogni donna ha sperimentato almeno una volta nella vita. Nonostante qualche debolezza narrativa, con tratti di film troppo lenti e altri, troppo accelerati – e nonostante i limiti di budget – ne emerge una produzione che, come esordio alla regia, non è niente male.
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