Politica

PRIMA PAGINA-Separazione delle carriere, la maggioranza accelera

di Giuseppe Ariola -


Mentre da giorni impazza un nuovo scontro tra politica e magistratura, la maggioranza è intenzionata a velocizzare l’esame, in corso alla Camera, della riforma della Giustizia che tra le principali misure prevede la separazione delle carriere e il sorteggio dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. Il termine per la presentazione degli emendamenti al provvedimento, il cui iter è già in corso in commissione Affari costituzionali a Montecitorio, è scaduto alle 12 di ieri e, a quanto si apprende da ambienti parlamentari della maggioranza, l’obiettivo è quello di giungere al licenziamento del testo da parte dell’Aula già entro Natale. Un traguardo raggiungibile ma comunque ambizioso, sia per l’importanza che riveste la riforma costituzionale, che proprio per la sua stessa natura richiederà un confronto e un dibattito certamente approfonditi, che per la forte contrarietà già manifestata dalle opposizioni. Senza contare che, con la firma apposta ieri alla legge di Bilancio dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la manovra è stata trasmessa alla Camera dove la maggioranza ha immaginato la data del 10 dicembre come deadline entro cui trasmettere il testo al Senato. La concomitanza di due provvedimenti così rilevanti certamente non facilita, quindi, l’attività parlamentare e di certo e non agevola tempistiche particolarmente rapide. Anche per questo motivo l’accordo di maggioranza sul disegno di legge sulla giustizia raggiunto dal centrodestra prevedeva di non proporre emendamenti, salvo poi il ripensamento della Lega che sulla scorta del caos sorto attorno alla questione dei migranti ne ha presentati due – che probabilmente non saranno neanche ammessi per estraneità di materia – per disporre la prevalenza delle norme italiane su quelle comunitarie. Sempre l’intesa tra gli alleati prevederebbe poi, come confermano autorevoli fonti della maggioranza, un emendamento dei relatori affinché i membri laici del Csm (che con la riforma, in scia alla separazione delle carriere, diventerebbero due, uno giudicante e uno requirente) continuino a essere eletti dal Parlamento, invece che essere sorteggiati, al pari dei togati, come previsto dalla riforma. La ratio del sorteggio, ci confermano dal centrodestra, è quella di limitare il dilagare delle correnti della magistratura che, anche e soprattutto in occasione del rinnovo del Csm, innescano manovre che nulla hanno a che vedere con l’amministrazione della giustizia e si riducono a un mero gioco di potere. Perché il Parlamento dovrebbe seguire lo stesso schema previsto per i magistrati, ci si domanda, quando il problema è in capo a loro e non alla politica? Una riflessione che da queste pagine abbiamo sollevato tra i primi, non appena la riforma ha ricevuto l’ok dal Consiglio dei ministri. Riflessione che a suo tempo abbiamo sottoposto anche al sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto e all’ex magistrato, già presidente dell’Anm, Luca Palamara. Entrambi ci hanno sostanzialmente detto che prevedere le medesime modalità di nomina per tutti i componenti del Csm rispondeva a un’esigenza di organicità della nuova normativa. A quanto pare, nel corso dei mesi la politica ha invece optato per far prevalere le proprie ragioni rispetto all’esigenza di omogeneizzare la modalità di selezione dei componenti del Csm, ritenendo che il Parlamento non debba diventare autolesionista e rinunciare a una propria funzione solamente per non innescare un nuovo fronte di polemica con i magistrati, già sul piede di guerra per la principale novità della riforma, la separazione delle carriere. Proprio come l’opposizione che ha già rilanciato il consueto tormentone secondo il quale la maggioranza vorrebbe minare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Non la pensa certamente così Marina Berlusconi che, in occasione dell’inaugurazione del nuovo bookstore Mondadori di Roma, non ha mancato di lanciare una bordata pesante: “Certi giudici non sono nemici di mio padre o di Giorgia Meloni ma dell’intero Paese” è stato la risposta lapidaria a chi le chiedeva un commento sulle nuove tensioni tra governo e magistratura.


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